CANNES 59 – Laitakaupungin Valot (Les lumières du Faubourg), di Aki Kaurismäki (Concorso)

Kaurismaki costruisce il suo film con inquadrature fisse che se da un lato giocano con delle tonalità policrome, messe in risalto da continue accensioni luminose, dall'altro tolgono respiro alle singole sequenze, facendo risaltare la monocroma sfumatura affettiva con cui sono dichiarati sentimenti ed emozioni.

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Aki Kaurismäki, dopo Nuvole in viaggio, film vincitore del Premio ecumenico, qui a Cannes nel 1996; e L’uomo senza passato, con il quale nel 2002 ha vinto il Gran premio della giuria, ritorna in concorso al Festival con un film dal titolo suggestivo: Les lumières du faubourg (letteralmente luci dell’alba). Kostinen (Janne Hyytiainen) e un uomo che trascorre i suoi giorni alla ricerca di un piccolo “posto al sole”, ma l’indifferenza sociale e la meccanica senza volto della società mandano in frantumi ogni suo sogno di libertà e di amore. Kaurismäki costruisce il suo film con inquadrature fisse che, se da un lato, giocano con delle tonalità policrome, messe in risalto da continue accensioni luminose (i riflessi che vibrano sulle cose e lasciano emergere i corpi dei protagonisti come nello stiacciato di un basso rilievo); dall’altro tolgono respiro alle singole sequenze, sopprimendo la fluidità del piano narrativo. La stessa Helsinki, scenario della vicenda, appare fredda e distante, come una fotografia, a cui solo una memoria nostalgica può ridare vita. Così Les lumières du faubourg si sostanzia in inquadrature che parlano del disamore, e la solitudine, gli stati d’animo, le emozioni, le paure, le insicurezze, dei protagonisti, la loro fragilità, risaltano per la monocroma tonalità affettiva con cui sono dichiarate, quella della loro incolmabile e inappagabile assenza. Gli incontri di Kostinen, con Marja (Maria Jarvenhelmi) e Aila (Maria Heiskanen), come, anche, quelli occasionali, con i colleghi di lavoro o estranei, sembrano raccogliersi in un meccanico balletto senza musica o cadenzato da un’atonia che li rende come marionette, mosse e travolte dal destino di incompiutezza cui sono abbandonate. Kaurismäki ritorna ancora una volta a quel vagabondaggio interiore e statico proprio del suo cinema, un vagabondaggio che, negli ultimi film, solo la dimenticanza di M ne L’uomo senza passato, sembra averlo davvero “esiliato”, strappandolo dalle costruzioni costrittive e riduttive della forma. Le immagini de Les lumieres faubourg sembrano animarsi nell’ultima sequenza, quando Kaurismaki segue con la sua macchina da presa, lo sfiorarsi delle mani di Alila e Kostinen, il loro delicato accarezzarsi nella polvere, una breve sequenza che illumina lo sguardo e dalla quale avremmo voluto iniziasse il film.

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