CANNES 67 – Saint Laurent, di Bertrand Bonello (Concorso)

gaspard ulliel in saint laurent

Dal 1967 al 1976. Un biopic decadente, una sorta di Visconti redivivo. Yves Saint Laurent come Ludwig. Ipnotico e allucinato, un'ombra che è quasi creazione di un suo schizzo per una sfilata. Con una malinconia opprimente in un tempo inarrestabile che corre troppo e non basta più solo un’inquadratura per contenerlo. Tra questo e il film di Jalil Lespert c’è la stessa differenza tra la notte e il giorno

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gaspard ulliel in saint laurentDue film sul celebre stilista a distanza ravvicinata. Prima il biopic di Jalil Lespert, poi questo di Bertrand Bonello. Se il primo sceglieva un accademismo che alla lunga appariva schematico e logoro, Bonello invece va in tutt’altra direzione e realizza una specie di ritratto decadente, quasi un Visconti redivivo. Yves Saint-Laurent come Ludwig: non a caso c’è anche Helmut Berger nei panni dello stilista nel 1989. Dove i vestiti, la moda, gli oggetti, gli specchi ma anche gli sguardi, il desiderio, il sesso appartengono quasi a un effimero. Pieno di estasi e sfuggevole. Dove la vita dello stilista viene ripercorsa in un arco temporale più ristretto rispetto a quello di Lespert, dal 1967 al 1976, con brevissimi flash in avanti.

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Oltre il genere. Come in un’ipnosi che segna tutta l’ultima parte del film davvero stordente. Lo sguardo di Bonello attira e ci si trova davanti le sue immagini come se ci si trovasse sotto l’effetto di qualche sostanza. Le feste a casa di Jacques de Bascher (interpretato da Louis Garrel) hanno quell’intermittente euforia e l’isolamento dal mondo esterno di L’apollonide. Ma l’ambiente della moda, gli incontri per strada con altri uomini, la sua abitazione costituiscono anche il suo personale Regno come nel caso di De la guerre.

louis garrel in saint laurentSaint Laurent parte dal 1974. Il protagonista è nell’ombra. Fisicamente, una silhouette di una sua creazione. Non più il soggetto che inventa. Potrebbe essere in uno dei suo schizzi, proiettato su uno sfondo rosso con i manichini, travestito da donna. Oltre il look, lo sguardo. Gli occhi di Saint Laurent come quelli di un ottimo Gaspard Ulliel che lo interpreta che si immerge nel personaggio ma evita la mimesi. Gli stessi occhi delle foto in bianco e nero delle attrici. O quelli di Danielle Darrieux insieme a Vittorio De Sica nell’estratto di I gioielli di Madame de… di Max Ophuls.  Se all’inizio restano delle tracce biografiche, poi Bonello reinventa e mescola i materiali, tra l’immagine filmata e il documento d’archivio, con lo split-screen in cui interagiscono le collezioni di moda dello stilista ed eventi come il Maggio francese, la guerra in Vietnam, la morte di De Gaulle. E ad un certo punto Saint Laurent diventa pura allucinazione: serpenti sul letto, colori esplosivi, colonna sonora come una musica nella testa che non sembra interrompersi più anche quando è finita. Scorre tutta la vita. Come se al protagonista passassero davanti per un attimo tutti i momenti più importanti della sua vita prima di morire. Con la galleria di fantasmi, dal compagno Pierre Berge' (Jeremie Renier) a Loulou (Lea Seydoux) e Talitha (Jasmine Trinca). Per il cinema di Bonello sono due ore e mezzo, per Saint Laurent magari un solo istante. E qui c’è una malinconia opprimente in un tempo inarrestabile che corre troppo e non basta più solo un’inquadratura per contenerlo ma ce ne vogliono contemporaneamente due o tre.

Il cinema di Bonello è questo. Lo si ama o lo si detesta. Forse noi siamo di parte e non ce ne può fregare di meno. Tra il suo film e quello di Lespert c’è la differenza come la notte e il giorno. L’invenzione pura al buio contro la narrazione classica alla luce. Ed è abbastanza strano che due biografie così diverse ma potenti come quella del regista francese e di Mike Leigh con Mr. Turner abbiano battuto due forti colpi sul concorso di quest’anno.

 

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