#Cannes2019 – Lux Æterna, di Gaspar Noé

L’inferno del set. La stregoneria attraverso i secoli. Cinquanta minmuti ancora estremi nell’opera del cineasta francese dove conta uscirne vivi. Per noi una totale danza dionisiaca. Fuori concorso

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Histoire(s) du cinéma quasi godardiane. Dove la scrittura non può vivere senza le immagini. E viceversa. Quasi una didascalia/quadro come in Questa è la mia vita. Con Godard che diventa traccia ispiratrice. Chi fa i film sono i morti viventi. Chiamato solo per nome. Come Dreyer e Fassbinder. E tutto il cast nei titoli di coda. 50 minuti ubriacanti. Che sradicano ogni forma. Il collegio di Climax diventa il set di Lux Æterna. Béatrice Dalle e Charlotte Gainsborg che dialogano, prima in split-screen, poi dal vivo, sulla stregoneria. Poi c’è la lavorazione. Dove spuntano le fiamme dell’inferno del cinema di Gaspar Noé. Già annunciate da quelle di Dreyer in Dies Irae. Che poi racconta come venne girata quella scena. Appena finisce la pausa il set diventa una guerra. Con un’intermittenza ipnotica di blu e di rossi. E un movimento continuo. Anzi di più. Incessante. Non sembra esserci spazio. Come Irreversible e Love, ancora un cinema dove non c’è distanza fisica. La Dalle che non regge la pressione. Colpisce la camera. Come a liberarsi di sguardi indiscreti. Ma anche del cinema. Perchè nel momento stesso in cui si sta facendo, per Noé l’ultima cosa che sembra contare è il risultato finale. La cosa più importante è uscirne vivi.

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Ma ancora il cinema, in Lux Æterna, è l’ancora di salvezza. Proprio quella luce infinita, eterna appunto. Che non si spegne mai. Che arriva direttamente da quella di Josef von Sternberg. Che diventa soffocante nella scena delle streghe bruciate. Assieme a un suono infernale. “Quando la pressione diventa troppo forte mi trasformo in dittatore” (Rainer Werner). Non c’è respiro. Un film sul cinema che può trasformarsi, come in Climax, ancora in un horror. Senza respiro. La Gainsbourg inseguita da un regista esordiente che vuole proporre il ruolo da protagonista e lei non ha né tempo né voglia di ascoltarlo. E poi il momento, potentissimo, della telefonata dell’incidente alla figlia.

Noé magnificamente fuori controllo. Nessuna furbata. Anzi, il contrario. Con lo split-screen che filma diverse angolazioni. Ma ci sono contemporaneamente due film. Una sfida per l’occhio umano. Che vorrebbe catturare più dettagli possibili. O ancora il cinema come un’orgia, un rave party, un obitorio. Poi ci sono ancora le scritte. Ancora Godard. La parola si forma nell’atto stesso in cui si sta filmando. Noé ancora estremo come in Climax. Può procurare in alcuni un totale rigetto. Per noi, una danza dionisiaca.

 

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