#Cannes68 – Alias María, di José Luis Rugeles Gracia

A Un certain regard, l’opera seconda del regista colombiano che non solo si insinua nei territori di un teatro di guerra, ma cerca di trovare la forma per rappresentare le emozioni dei personaggi

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Nasce da una coproduzione che unisce Colombia, Argentina e Francia Alias María, opera seconda di José Luis Rugeles, ambientato nella foresta colombiana e raccontato interamente attraverso gli occhi tristi della tredicenne protagonista Maria. Proprio sui suoi occhi il film si apre. Sono filmati attraverso una fessura mentre spia il parto di un’altra donna. Solo dopo si capisce che ci troviamo in un campo militare e che Maria è uno dei soldati, addestrati e armati per combattere una guerra che non vuole finire. In pochi minuti è esposto tutto il senso del film, la difficoltà e l’assurdità di un’adolescente incinta coinvolta in un conflitto tra eserciti fatti in gran parte di bambini.

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E non è un caso, allora, se il film inizia proprio con la nascita di un bambino, il figlio del comandante, come a dire in anticipo che quella che si va a raccontare è una storia senza fine, destinata a ripetersi e a moltiplicarsi, fino a contare migliaia di bambini-soldato dispersi tra gli alberi e il fango. Come a dire che questa storia non ha nulla di eccezionale o di diverso da mille altre storie possibili in questi luoghi intricati e inaccessibili.

In realtà Maria custodisce un segreto: è a sua volta incinta anche se sa che è proibito. Da questo dipendono tutti i suoi gesti, le sue fughe, il suo silenzio. Arrendevole e ubbidiente, esegue gli ordini, salvo poi trasformarsi in un piccolo animale selvaggio quando la invade la paura e tutto intorno a lei si trasforma in allucinazione. Più volte il mondo intorno cambia davanti ai suoi occhi. Più volte si sente braccata e fragile. Ripetitivo e ipnotico, questo film si insinua non solo nei territori profondi di un teatro di guerra, ma cerca di trovare la forma per rappresentare le emozioni dei suoi personaggi. Che non possono essere altro se non mille diversi modi di sentire lo smarrimento, continuo e violento dentro una vita che i bambini-soldato sembrano vivere e vedere solo dall’esterno, come osservatori di qualcosa che non li riguarda. Come quando Maria osserva di nascosto il parto, appunto, o la figlia del medico, descritta nella sua vita normale, in una casa normale, con tutto quello che Maria non ha mai avuto.

L’ultima fuga è quella definitiva, e la conduce, infatti via dagli spazi angusti tra gli alberi. Solo a questo punto, sui binari del treno, il punto di vista si allarga e trova un respiro lento e ampio. Affiora uno squarcio di cielo, si disegna sullo schermo una linea precisa, un percorso per la prima volta diverso.

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