C’erano una volta le videoteche: chiude Video Elite

Il 31 ottobre, la videoteca romana di culto, Video Elite ha chiuso per sempre. Non poteva più reggere il confronto con Netflix. Grazie a Marco Bellocchio il suo patrimonio è salvo.

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«Video Elite si dona alla Cineteca di Bologna. Film introvabili esistono ancora, ed esisteranno per sempre. Cambia la fruizione al passo con la tecnologia. Chi può dire se sia meglio o peggio. Ad oggi è così».

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22 mila tesserati, un catalogo di oltre 34mila titoli, più di un quarto di secolo di attività, eppure non ce l’ha fatta: Video Elite, storica videoteca romana di via Nomentana, luogo di culto per i cinefili romani e non solo, il 31 ottobre ha chiuso definitivamente le sue porte. Aveva resistito al passaggio dal VHS al Dvd, ricomprando in blocco i film, titolo per titolo, per non alterare una collezione ricercatissima messa in piedi negli anni. Ma davanti all’arrembaggio pirata dello streaming illegale ed a quello fagocitante delle grandi piattaforme come Netflix o Amazon, ha dovuto arrendersi.

«La tecnologia ha vinto la battaglia contro la passione, la determinazione e il coraggio», ha dichiarato il proprietario Roberto Giamminuti dopo aver ringraziato i suoi più assidui frequentatori. Uno su tutti: Marco Bellocchio, che ha fatto sì che un tale patrimonio non andasse perduto. Grazie alla sua mediazione la Cineteca di Bologna ha acquisito in blocco tutta la collezione, dandogli una nuova, pubblica, sorte.

Se Billy Wilder avesse girato oggi Viale del tramonto, avrebbe messo parole simili in bocca alla sua Norma Desmond. Nelle affermazioni di Giamminuti si assapora quella stessa crepuscolare nostalgia mista ad amarezza, quella malinconia autunnale davanti ad un cambio di stagione imminente. Ci si arrende davanti all’inevitabile arrivo delle piogge.

Come il cinema muto ha lasciato il posto al sonoro, l’homevideo ha raggiunto ormai il suo epilogo. Sono lontane le glorie degli Anni Novanta, quel decennio aperto dalla Palma d’Oro al film culto di Soderbergh, Sesso, bugie e videotape, nel 1989. E lontana è l’eccitazione, letterale e figurata, creata dalle videocassette, che oltre al grande cinema hanno fatto entrare la pornografia nelle case (!).

Le piccole videoteche di città non sembrano esser state sfiorate nemmeno da quell’infestante virus della retromania che ha attecchito nella musica, nella moda, ed anche al cinema e nell’universo seriale televisivo, dove walkman, televisori a tubo catodico, sneakers e calzettoni anni Ottanta-Novanta, sembrano oggetti irrinunciabili.

E mentre i negozi di vinili vivono una nuova “giovinezza” glamour, questa mania ha lasciato fuori le videocassette e i loro eredi, Dvd e Bluray, che hanno avuto in sorte una vita ancora meno longeva. Oggi, nell’era di internet, questi oggetti resistono timidamente come bene di lusso da collezionare e tenere nelle proprie teche. La pigrizia e la comodità dell’avere a disposizione una scelta smisurata di film a prezzi ridotti pronti per l’uso su computer, televisione, tablet, telefoni e così via, ha sostituito il piacere di farsi consigliare, decretando l’eclissi del ruolo socioculturale del “videotecaro” e del suo tempio, come ci ricorda Giamminuti: «qualcosa del nostro lavoro sopravvivrà nonostante la tecnologia? Chi può dirlo. Sono consapevole d’aver creato, assieme a mia moglie e mio figlio, qualcosa che resisterà oltre la sua vita commerciale e aver svolto un ruolo socioculturale per il quartiere e per tutta la città. Ora però sventolo bandiera bianca».

«C’erano una volta le videoteche», recita l’incipit del film di Michel Gondry, Be Kind Rewind. Un grido d’allarme, più che l’inizio di una fiaba, a cui i cinefili dovrebbero forse rispondere e fare di tutto per salvare quei rari covi, colmi di film introvabili che ancora, strenuamente, resistono in qualche angolo delle nostre città.

Sentieri Selvaggi inizierà un’inchiesta con speciali e interviste, ad alcune delle più importanti videoteche rimaste in Italia.

 

 

 

 

 

 

 

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