Cuore selvaggio, di David Lynch

Dal romanzo di Barry Gifford, non il migliore di Lynch ma incrocio decisivo delle sue partiture visive/sonore. Palma d’oro a Cannes nel 1990 Stasera, ore 19.05, Premium Emotion

--------------------------------------------------------------
CORSO SCENEGGIATURA CINEMA E TV, in presenza o online, NUOVA DATA DAL 27 MARZO
--------------------------------------------------------------

Trovare l’amore all’inferno. E nel cinema di David Lynch ha diversi colori: il bianco e nero di The Elephant Man, il blu di Velluto blu, il rosso e l’arancione delle fiamme di Cuore selvaggio. Che sembrano anticipare, o meglio procedere parallelamente a quelle di Twin Peaks. L’immaginario statunitense ridisegnato da Lynch. Nelle linee della strada dell’asfalto (che torneranno anche in Strade perdute), nelle camere d’albergo, nei riflessi colorati, nella giacca di serpente di Sailor. E anche negli spazi. In quelle profondità deformate. Con scarti prospettivi rispetto ai volti in primo piano. Come quello di Diane Ladd con tutto il viso cosparso di rossetto. L’eccesso non è maniera né esuberanza. Diventa in Lynch un gesto, una pennellata nervosa di un pittore, uno scatto impressionista. Più che un adattamento del romanzo di Barry Gifford da cui è tratto, Cuore selvaggio ne diventa quasi l’esecuzione di una partitura visiva/sonora. Si, i film sono immutabili. Una volta finiti, restano quelli. Ma se ci fosse la possibilità, come a teatro, forse Lynch ogni volta ne farebbe una versione diversa da quella precedente. A cominciare da tutti i tagli che il cineasta ha dovuto fare. In origine doveva durare il doppio. Circa 4 ore. E ha dovuto eliminare alcune scene di violenza perché ai test per il pubblico, molti spettatori avevano abbandonato la sala prima della fine. Tra queste c’è quella in cui il diabolico Willem Dafoe, nei panni di Bobby Peru, si spara accidentalmente in testa con un fucile mozzandosela. Però questo frammento si può recuperare nel dvd statunitense.

--------------------------------------------------------------
IL NUOVO #SENTIERISELVAGGI21ST N.17 È ARRIVATO! in offerta a soli 13 euro

--------------------------------------------------------------

Una fuga d’amore. Romeo e Giulietta on the road. Non ci sono Capuleti e Montecchi. Ma il fantasma di Shakespeare appare. Anche nelle forme di una tragedia dissacrata. Sailor e Lula in fuga verso il Texas. Lui in libertà vigilata. Lei con i segni di uno stupro subito quando era adolescente. E la madre di lei (Diane Ladd che è anche quella vera di Laura Dern), che già aveva assoldato un sicario per uccidere Sailor, che gli da la caccia.

Al Festival di Cannes aveva vinto nel 1990 la Palma d’oro. Abbastanza a sorpresa, per un innamoramento del Presidente della Giuria Bernardo Bertolucci. Ma gran parte della critica non aveva reagito positivamente. A cominciare da Roger Ebert che era stato tra i primi a fischiare dentro il Palais. Ed era stato accolto in maniera fredda anche da gran  parte della critica e del pubblico. Proprio perché, come spesso accade in Lynch, non ci si trova solo davanti a un film. Ma i mille pezzi di un delirio che non solo mescola i piani temporali ma dove ogni flashback è come un taglio profondo nella tela del quadro. Sì, c’è il Mago di Oz attraverso le emanazioni delle streghe buone e cattive. Ombre ammonitrici. Quelle dell’Espressionismo. Con il rumore del vento del cinema nordico anni ’20. Ma anche Elvis Presley. I suoi film, la sua gestualità (il dito puntato da Nicolas Cage verso Diane Ladd dopo l’omicidio all’inizio del film), e Love Me Tender nel finale. Assolo su tutti i titoli di coda. Da non interrompere. Perché da qui potrebbe ripartire idealmente il prologo musical di Inland Empire. E che contamina il respiro noir. Non dissacrato ma manipolato. Con le risate inquietanti che si incantano. Come un disco che s’inceppa e non si riesce a far ripartire. Ne indietro né avanti. E ancora tracce del genere, come nella scena dell’incidente in cui appare Sherilyn Fenn, forse reincarnazione momentanea di Audrey Horne di Twin Peaks. Al di là della vita.

E ancora. Il passo di Cuore selvaggio. Troppo veloce, troppo lento. Evidente anche nella scena della rapina. E Fellini che entra nel motel con la presenza delle donne nude. Si, forse è tutto un sogno. Di attese. Di incontri. Come quello con Isabella Rossellini, nei panni di Perdita Durango. Parrucca bionda e minigonna di pelle. Dove forse tutta la luce, lo spazio, deve liberararsi ogni volta dalle fiamme. Forse uno dei film di Lynch più rappresentativi. Non il migliore. Ma un crocevia decisivo. Tra il prima e il dopo.

Titolo originale: Wild at Heart
Regia: David Lynch
Interpreti: Nicolas Cage, Laura Dern, Diane Ladd, Willem Dafoe, Harry Dean Stanton, Isabella Rossellini, Sherilyn Fenn
Durata: 124′
Origine: USA, 1990
Genere: noir

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

Sending
Il voto dei lettori
4.8 (5 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE PRODUZIONE+DISTRIBUZIONE CINEMA. DAL 19 MARZO!

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative