Dick Tracy: il corto sequel sul celebre detective di Warren Beatty

Lo speciale TV, andato in onda tre giorni fa sulla rete americana TCM, segna il ritorno del regista nei panni dell’iconico investigatore, tra strategie irriverenti e cortocircuiti meta-narrativi

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Come per tutte le grandi icone della cultura popolare, anche il personaggio di Dick Tracy ha conosciuto un numero altissimo di adattamenti, che tra versioni cartacee, televisive o cinematografiche, ne hanno rinegoziato l’immagine agli occhi di pubblici sempre più diversi ed eterogenei. Eppure, nell’immaginario collettivo odierno, il celebre “detective col cappotto giallo” nato dalla matita di Chester Gould sembra indissolubilmente legato alla sua ultima incarnazione filmica: quella del ’90 diretta, prodotta – ed interpretata – da Warren Beatty.

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Ed è su questa identificazione tanto ideale quanto paradossale, se consideriamo il grande numero di adattamenti avuti dal fumetto originale, che il regista americano vuole articolare tutte le istanze di questo (straordinario) special tv, in cui la vocazione da testo-sequel è continuamente confutata dalle logiche più irriverenti e post-moderne del mockumentary. Sin da subito, infatti, il racconto rifiuta ogni proposito di credibilità, con Warren Beatty che sveste i panni “dell’attore”, per presentarsi nella forma “reale e terrena” del suo iconico personaggio: qui è il “vero” Dick Tracy a parlare, non la versione “fittizia” dei fumetti; è sulla sua vita da detective che nel corso degli anni si sono basati tutti quei serial televisivi, ispirati di volta in volta dalla magnetica personalità dell’uomo. E non da un materiale narrativo creato autonomamente dai vari artisti che hanno voluto cimentarsi con la sua storia.

Nel mettere perciò in scena un ipotetico incontro via Zoom tra Mankiewicz (giornalista), Maltin (storico del cinema) e Dick Tracy (quello reale!), il corto – intitolato Dick Tracy Special: Tracy Zooms In e trasmesso su TCM – fa di questo assurdo cortocircuito la formula ideale della sua parabola comica. Più vediamo Warren Beatty impersonare il suo iconico personaggio, facendogli commentare – talvolta con visibile disprezzo, altre volte con divertito sdegno – gli errori commessi dall’attore nel film del ’90, più capiamo come il racconto si prenda gioco della sua struttura. E ad essere irrisi non sono solamente le false pretese di credibilità della narrazione o i protagonisti-attori coinvolti nella farsa: ma quelle stesse finalità produttive che hanno spinto il regista a ri-mettere in scena dopo tanti anni uno dei suoi personaggi più iconici ed amati.

È dai tempi del primo film, infatti, che Warren Beatty desidera girare un sequel di Dick Tracy, senza mai riuscire nell’intento. Nel corso degli anni i diritti di sfruttamento commerciale dell’opera sono stati oggetto di una feroce contesa giudiziaria, che ha visto l’attore battagliare a lungo con la Tribune, per poi ottenere nel 2006 il permesso di girare un’opera sul detective entro due anni dalla sentenza, pena la decadenza dei diritti. È così che nel 2008 realizza un primo speciale sul personaggio, in cui vediamo il “vero” Dick Tracy interagire con le sue precedenti incarnazioni filmiche, seguito pochi giorni fa dal nuovo, irriverente capitolo, dove lo sguardo meta-narrativo entra qui in un cortocircuito ancora più irrisorio e deliberatamente ridicolo.

In questo senso Beatty, nell’arrivare ad inscenare un confronto diretto con la sua controparte “fittizia”, fa della matrice auto-ironica del racconto lo strumento con cui ragionare sulla paradossalità delle costrizioni produttive (e giudiziarie) in cui si è trovato a muoversi. Ma ora, però, è fin troppo tardi per pensare ad un sequel cinematografico: gli anni passano, e la carta d’identità non gli permetterebbe di prestare il volto al celebre detective dei fumetti. Eppure per il cineasta non sembra esistere alcun tipo di rassegnazione. E la scena finale del corto, in cui Beatty e il “suo” Dick Tracy discutono animatamente sulla possibilità di realizzare insieme un nuovo progetto sul personaggio, sta a suggerire proprio la prosecuzione del sogno. Di un desiderio che neanche un lungo contenzioso legale potrà mai veramente cancellare.

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