DOCUSFERA #3 – Incontro con Armando Andria e Aura Ghezzi

Seconda serata di Docusfera con Gli ultimi giorni dell’umanità di Ghezzi e Gagliardo. Ecco cosa ci ha raccontato l’incontro che ha preceduto la proiezione

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Sabato 14 ottobre si è tenuto il secondo incontro della terza edizione di Docusfera. Le forme del documentario, in occasione della quale il produttore e sceneggiatore Armando Andria e l’attrice Aura Ghezzi sono stati ospiti presso la sede di Sentieri Selvaggi per introdurre la proiezione di Gli ultimi giorni dell’umanità, film documentario diretto da Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo, presentato in anteprima alla 79esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

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Il progetto, caratterizzato da una lunga gestazione, è nato a fine 2018, quando, racconta Andria, “sono avvenuti i primi rinvenimenti di una grossa mole di cassette, di girato che Enrico aveva accumulato nel corso dei decenni, più o meno dagli anni ’70 in avanti e la cui gran parte era totalmente inedito. Il primo approccio è stato capire cosa contenessero queste cassette, ed è stato l’inizio della creazione di un archivio. Il girato era materiale di Enrico raccolto in oltre trent’anni che variava dal piano privato, familiare, a quello pubblico, dal momento che Enrico girava spesso con camera a mano in giro per i festival, ma anche nei congressi del PCI. Insieme a questo c’era anche tanto materiale che raccoglieva testimonianze di cineasti amati, come per esempio Bèla Tarr. E questo è stato il nostro punto di partenza”.
In una prima fase, racconta sempre Andria, non si è subito proceduto a un’operazione di selezione o snellimento poiché “il materiale su cui lavoravamo ammontava circa a un migliaio di ore. Noi abbiamo visto tutto, abbiamo proceduto a una fase di commento di ciò che vedevamo e per fare questo abbiamo allestito un gruppo di lavoro di una decina di persone. I nostri primi tentativi di montaggio del materiale non erano subito finalizzati al film, ad incanalare il tutto in un flusso destinato a diventare film, ma facevano parte di un’ulteriore fase di sperimentazione relativo a quello che poteva essere il nostro sguardo su quelle immagini. Non avevamo gabbie critiche, teoriche o estetiche”.
Gli ultimi giorni dell’umanità è un’opera mastodontica, in qualche modo collettiva, che deriva appunto da un lungo processo laboratoriale. Al suo interno c’è tanto cinema, c’è pensiero filosofico, c’è Kafka. In un tutt’uno che, lungi dal voler approfittare di un montaggio schizofrenico, tende invece a distendere il ritmo, a scomporre la materia in macro blocchi. Una scelta dettata da “una domanda che ci siamo fatti, cioè se volessimo capire seriamente se questo materiale potesse avere forma filmica, dal momento che ci ha sempre attraversato la possibilità che tutto potesse rimanere in potenza. Alla fine ci siamo detti di voler provare a farlo. E in sostanza il film è costruito su sequenze eterogenee dal punto di vista del contenuto, ma omogenee in quanto proposta teorica. C’è tanto pensiero sulle immagini, che scorre attraverso immagini e parole. E c’è tanto cinema”.
Decisiva, naturalmente, la presenza nel film di Aura, figlia di Enrico, la cui partecipazione fisica ed emotiva ha però preso forma solo a progetto avviato, come lei stessa racconta: “È una proposta che è venuta da Alessandro Gagliardo, che mi ha chiesto di leggere dei passi di Kafka. Io fino a quel momento non avevo praticamente partecipato e non ero convinta di volerlo fare. Perciò ne abbiamo parlato e abbiamo iniziato a fare ricerche sui testi e io sono anche stata più volte a Napoli dove loro lavoravano tutti insieme. Dal punto di vista emotivo per me è stata una cosa importante, anche perché ho rivisto determinate immagini familiari”.
E di fronte all’ambiguità di un non-film che suggerisce l’apocalisse, ma si configura al contempo come atto di fede, Armando Andria è sicuro: “Credo non sia assolutamente un’opera pessimista o che corteggia l’idea di una fine inevitabile; penso invece che, a fronte del materiale d’archivio presente nell’opera, la sezione con Aura, quella girata nel presente, produca un movimento che è di resistenza; un movimento di rivendicazione di uno spazio per l’azione e per l’essere nel presente”. Anche perché, sottolinea Aura, il titolo non si riferisce al genere umano, ma parla “dell’umanità in quanto qualità; intesa come capacità di amare, di provare compassione, di costruire qualcosa”.
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