FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – Persi nel tempo

Ultimi due giorni al festival di Udine, tra grandi blockbuster (il coreano "Tae Guk Gi", i due episodi del giapponese "Bayside Shakedown", l'hongkonghese "Turn Left, Turn Right") e il consueto appuntamento con il premio del pubblico.

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È tempo di tirare le somme anche per questa sesta edizione della più grande vetrina europea sul cinema est asiatico. La qualità delle pellicole resta altalenante (come in ogni festival che si rispetti), ma rincuorante – sottolineando ancora una volta come la chiusura preventiva dell'Italia alla distribuzione nelle sale sia ormai anacronistica e ingiustificatamente snobistica. Quanto alle nazioni presenti, annotata l'assenza di Taiwan e Singapore: migliora la selezione dei film cinesi, quest'anno ben più promettenti che in passato; equilibrato il panorama su Hong Kong, con una fotografia di un'industria in crisi ma pur sempre pronta a sfornare robusti prodotti d'intrattenimento; Thailandia e Filippine rimangono indietro, ma mostrano grande vitalità nel campo della commedia; più difficile un discorso su Corea del Sud e Giappone. La prima ha deluso molte aspettative, con un ventaglio di offerte forse non completamente rappresentativo dell'annata appena trascorsa. Il secondo rimane un mistero insondabile, spesso chiuso, di cui è difficile visionare le pellicole destinate al mercato interno; sono stati presentati buoni prodotti, ma rimane la sensazione che non sia tutto quello che ha da offrire. Indispensabile infine la retrospettiva su Chor Yuen, vitale e precorritore dei tempi, senza contare i due promettenti omaggi a Ichikawa Jun e Zhang Yuan.

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Per quanto riguarda i film presentati si rivelano, come sempre nei giorni passati, fonte di sorpresa quelli di Chor Yuen. The House of 72 Tenants, adattamento di un'opera teatrale di successo, in co-produzione con la tv e uno dei maggiori incassi della stagione (1973), è una commedia corale su un condominio abitato da un eterogeneo gruppo del sottoproletariato hongkonghese. Fresco, irriverente, politicamente schierato (i cattivi del caso sono i due proprietari, i poliziotti sono corrotti, i pompieri chiedono mazzette prima di intervenire), è una gioia soprattutto per gli amanti di lunga data del cinema di Hong Kong, con una selva di camei da "indovina chi" – da Danny Lee a Lily Ho, da Helena Law Lan a Betty Pei Ti. Young, Pregnant and Unmarried, del 1968, dimostra come Chor padroneggiasse i ritmi della commedia anche prima: scatenata e ironica, vede una ragazza fingere di essere incinta per proteggere la sorella maggiore e la salute del padre. Intimate Confessions of a Chinese Courtesan, del 1972, è invece un circolare film in costume venato da un sottile erotismo omoerotico femminile, scandaloso per i tempi, diretta fonte d'ispirazione per il famoso Naked Killer di Clarence Fok – di più di vent'anni successivo. Un peccato non essere riusciti a vedere anche The Great Devotion e The Prodigal, presentati in coda al festival, la mattina del primo maggio. Sul versante dei film recenti fa buona mostra di sé il Giappone: ripresentata la commedia poliziesca Bayside Shakedown, uno dei maggiori successi commerciali di fine anni '90, in vista della proiezione serale del secondo episodio, del 2003, purtroppo nella versione internazionale (il che significa una decina di minuti in meno e una colonna sonora rivisitata per l'estero). Meglio Josee, the Tiger and the Fish, di Inudo Isshin, sognante ma non pietistico ritratto di una ragazza disagiata, pur sempre coraggiosa e vitale. Da Hong Kong piacevole ritorno per Derek Yee, che con Lost in Time sfrutta un cast importante (Lau Ching.wan, Cecilia Cheung, Luis Koo) in una storia sospesa tra crudo realismo e magico abbandono in cui una ragazza, nonostante le avversità, si prende cura del figlio del suo amante, morto in un incidente stradale.


 

Colour of the Truth, diretto da Marco Mak insieme a Wong Jing, appare di primo acchito una rivisitazione incompleta di Infernal Affairs: votato all'azione e agli intrighi, finisce con l'essere più divertito ma meno bilanciato. Delude invece Turn Left, Turn Right, della coppia Johnnie To/Wai Ka-fai, che nonostante gli ottimi livelli produttivi (si tratta del primo film hongkonghese finanziato da Warner Bros) si perde nella ripetizione di una trama fragile, con un uomo e una donna che pur facendo quasi le stesse cose non riescono mai ad incontrarsi. Sorprende il thailandese Beautiful Boxer, sincero e controllato (storia vera di un pugile travestito con il sogno di diventare donna), calorosamente accolto anche al Gay and Lesbian Film Festival di Torino; molto apprezzato dal pubblico si dimostra anche il cinese Nuan, ritratto di un amore rurale messo in scena con sottile empatia da Huo Jianqi (affezionato del festival, dove aveva già presentato i suoi A Love of Blueness e Life Show). Era comunque sul versante coreano che si concentravano le maggiori aspettative: non tanto per …ing, di Lee Eon-hee, commediola sentimentale senza sorprese, o per Sweet Sex & Love, di Bong Man-dae, patrocinato nientemeno che da Tinto Brass, descrittiva riflessione su sesso e suoi derivati (irritante nella prima parte, salvato da un finale amaro), quanto per il campione d'incassi Tae Guk Gi. La nuova fatica di Kang Je-gyu dopo l'exploit di The Gingko Bed (1996) e soprattutto Shiri (1999) è la produzione più costosa che il cinema coreano ricordi, e in poche settimane ha frantumato qualsiasi precedente record d'incasso (Friend e Silmido compresi). Il tema in effetti, nonostante i decenni trascorsi, è di quelli sentiti: la guerra di Corea degli anni '50. Anche il punto di vista – i destini di due fratelli costretti all'arruolamento – è di quelli classici, pensato per far immedesimare gli spettatori. La pellicola dispiega così tutto il suo budget e il sostrato filosofico in una ricostruzione sontuosa e roboante, peccando forse in retorica – tra esplosioni, coraggio e buoni sentimenti. Al termine della visione, più di due ore, in una frenetica rincorsa, vengono annunciati i vincitori del premio del pubblico: senza sorprese i primi due posti (The Twilight Samurai e Tae Guk Gi), probabilmente inaspettato il terzo, Nuan.


(Un ringraziamento a Paolo Bertolin)


 


Audience Award 2004


1. The Twilight Samurai, di Yamada Yoji (Giappone, 2002)


2. Tae Guk Gi, di Kang Je-gyu (Corea del Sud, 2004)


3. Nuan, di Huo Jianqi (Cina, 2003)


 

TUTTE LE CORRISPONDENZE DAL FESTIVAL DI UDINE:



















FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – Persi nel tempo


di Stefano Locati



Ultimi due giorni al festival di Udine, tra grandi blockbuster (il coreano "Tae Guk Gi", i due episodi del giapponese "Bayside Shakedown", l'hongkonghese "Turn Left, Turn Right") e il consueto appuntamento con il premio del pubblico.


FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – Donne interrotte


di Stefano Locati



L'antesignana critica sociale di "A Mad Woman", le ragazze disinibite di "Bridal Shower" e l'amore disconnesso di "Baober in Love". Senza dimenticare la parodistica sfida al tradimento messa in scena con "Men Suddenly in Black".


FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – Amori al crepuscolo


di Stefano Locati



E' il giorno del melodramma, tra la spensieratezza di "Tear-laden Rose", le emozioni forti di "Winter Love" e l'abbandono di "The Coldest Day". Non manca la nostalgia, con l'elegiaco ritorno di Yamada Yoji in "The Twilight Samurai", proiettato in una sala affollatissima.


FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – Vita e dolore: "Dying at a Hospital"


di Stefano Locati



La quarta giornata del festival porta delusioni ("Elixir of Love" non mostra certo un Riley Ip in forma smagliante), bizzarrie (i due filippini "Keka" e "Gaga Boy") e, finalmente, qualcosa su cui riflettere: il coraggioso esperimento ospedaliero di Ichikawa Jun.


FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – Scuola e violenza: c'era una volta in Corea


di Stefano Locati



Terza giornata divisa tra commedia e sangue: da un lato lo sguardo sulla gioventù hongkonghese ("Truth or Dare") e coreana ("Singles"), dall'altro gli scontri adolescenziali di "Once Upon a Time in Highschool" e il delirio grottesco di "Showa Kayo Daizenshu".


FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – Wuxiapian anni Settanta: "Killer Clans"


di Stefano Locati



La retrospettiva su Chor Yuen, regista hongkonghese attivissimo dai primi anni '60 in pressoché tutti i generi, è uno dei motivi principali per cui vale la pena venire a Udine. Degli undici film presentati, solo tre sarebbero altrimenti recuperabili con sottotitoli in inglese, e il festival offre un'ottima occasione per conoscerlo.


FAR EAST FILM FESTIVAL 2004 – "I Love You": Il successo di Zhang Yuan


di Stefano Locati



Sesta edizione del Far East Film Festival al Teatro Giovanni da Udine. Dopo le polemiche dell'anno passato (la solita Sars), si torna a respirare aria di festa, con i prati antistanti l'edificio nuovamente percorsi da bambini cinesi urlanti e gli ospiti da Giappone, Cina e Corea del Sud che si mescolano volentieri al pubblico.


 

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