FESTIVAL DI ROMA 2010 – "Las buenas hierbas" di Maria Novaro (in Concorso)

Dalia è una ragazza “moderna”, vive sola con suo figlio piccolo, lavora in una radio alternativa e “colleziona parole” sui muri di casa, finché l’avanzare rapidissimo dell'Alzheimer della madre Lala la spinge ad intraprendere un frettoloso viaggio nella vita di quest’ultima, che significa soprattutto scoprire l’universo delle piante, naturali sostegni per sconvolgimenti emotivi e fisici, ma anche compagne fidate della vita quotidiana

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las buenas hierbas, di maria novaroLa regista, sceneggiatrice e sociologa messicana Maria Novaro dimostra di sapere che la malattia non è solo questione universalmente umana, ma assume significati differenti e determina reazioni disparate in base al contesto sociale e culturale. Nel Messico contemporaneo, ad esempio, dove permangono antiche credenze ibridate da scoperte scientifiche, ammalarsi di Alzheimer può comportare connotazioni simboliche e richiedere cure del tutto particolari. Se poi, come in questo film, ad ammalarsi è proprio la curatrice dell’Orto Botanico dell’Università di Città del Messico, è possibile tentare un ardito parallelismo: quello tra i variegati effetti clinici delle erbe mediche e le altalene chimiche delle emozioni e percezioni umane, il loro variare ed imporsi alla coscienza accostato alle pagine di ancestrali enciclopedie botaniche. Dalia è una ragazza “moderna”, vive sola con suo figlio piccolo, lavora in una radio alternativa e “colleziona parole” sui muri di casa, finché l’avanzare rapidissimo della malattia della madre Lala la spinge ad intraprendere un frettoloso viaggio nella vita di quest’ultima, un’esistenza inghiottita giorno dopo giorno nell’oblio della dimenticanza. E spiare la vita di Lala significa soprattutto scoprire l’universo delle piante, naturali sostegni per sconvolgimenti emotivi e fisici, ma anche compagne fidate della vita quotidiana.
La pellicola non ambisce a compiacimenti estetici ma segue i binari paralleli della vita umana e vegetale, in una sorta di empatia universale uomo/natura che si esplica in visioni estatiche di piante e fiori, capolavori naturali vegetali, ma che avrebbe forse necessitato di maggiore sperimentalismo formale, di una regia più visionaria, sicuramente di una sceneggiatura meno vaga. Dalia, infatti, non sembra partecipe di questa empatia, ed il risultato è un film sbilanciato sul dolore straziante di una figlia che vede morire ricordi che non ha avuto e non avrà più modo di recuperare. Resta il piacere dello sguardo su un universo alieno, con l’auspicio che l’occhio del cinema riesca a coglierlo, un giorno, con maggior vividezza.
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