FESTIVAL DI ROMA 2011 – "Hysteria", di Tanya Wexler (Concorso)

Hysteria La doppia anima dell'operazione – spirito irriverente che si fonde con i meccanismi oliati di una scrittura fatta soprattutto di parola e quasi per nulla di immagini o sfumature sottrattive – trova la sua immediata rappresentazione nelle due sorelle del film, tra le quali il protagonista stesso si dimena in una incertezza sentimentale che a suo modo ripercorre quasi metaforicamente l'intero percorso (spesso altrettanto incerto) del cinema inglese: coraggio anticonformista o rassicurazione borghese? La sensazione è che la regista alla fine di questa corsa a due non ce la faccia proprio a rinunciare alla seconda

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HysteriaNella Londra vittoriana di fine Ottocento – quella che univa in un unico spazio urbano il mondo di Oscar Wilde, Jack lo Squartatore e l'Uomo Elefante – ci fu un'invenzione scientifica che a suo modo rivoluzionò il mondo della medicina e della psicoterapia, portando alla ribalta un oggetto erotico che nel secolo successivo sarebbe diventato il più venduto in assoluto: il vibratore meccanico. Il film di Tanya Wexler racconta la buffa storia del Dott. Mortimer Granville (Hugh Dancy), giovane medico che assunto come assistente dal Dott. Dalrymple (Jonathan Pryce), scopre prima le tecniche non convenzionali con cui quest'ultimo cura donne affette da isteria provenienti dalle classi alte della società, per poi perfezionarle con l'invenzione dell'oggetto meccanico di cui sopra. Nel frattempo Granville si fidanza con la seconda figlia di Dalrymple, la devota e tranquilla Emily, salvo rendersi conto strada facendo che la sua vera anima gemella è la sorella maggiore di quest'ultima, la ribelle socialista Charlotte (Maggie Gyllenhall, in un ruolo che sembra provenite direttamente dalla filmografia di Diane Keaton), in aperto contrasto con la famiglia.

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Molta carne al fuoco che rischia di moltiplicare i temi portanti dell'operazione. Hysteria è infatti non soltanto un film su un triangolo sentimentale quasi platonico o il racconto, più parossistico e divertente che provocatorio, dell'invenzione del primo vibratore elettromeccanico, ma una riflessione sul conflitto interno alla società vittoriana tra classi povere ed aristocrazia, nonchè una velata critica ai metodi conservatori della medicina ottoventesca e alla diagnosi di isteria che per anni è stata frettolosamente attribuita nei confronti di donne insoddisfatte. Questi punti fissi attorno ai quali il film si sviluppa qua e là cedono il passo a una narrazione in certi casi troppo preoccupata di concedersi colpi a effetto umoristici tipicamente britannici. Si veda in tal senso la presenza drammaturgicamente quasi accessoria dell'inventore Smythe (Rupert Everett), sorta di dandy wildiano fin troppo machiettistico e prevalentemente relegato alla mera funzione ludica. Detto questo, la Wexler ha il merito di non prendersi troppo sul serio e porta a casa il compito senza danni permanenti, con la consapevolezza di realizzare una commedia in costume da pubblico medio, nella più fedele tradizione inglese. La doppia anima dell'operazione – spirito irriverente che si fonde con i meccanismi oliati di una scrittura fatta soprattutto di parola e quasi per nulla di immagini o sfumature sottrattive – trova la sua immediata rappresentazione nelle due sorelle del film, tra le quali il protagonista stesso si dimena in una incertezza sentimentale che a suo modo ripercorre quasi metaforicamente l'intero percorso (spesso altrettanto incerto) del cinema inglese: coraggio anticonformista o rassicurazione borghese? La sensazione è che la regista alla fine di questa corsa a due non ce la faccia proprio a rinunciare alla seconda. 

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