Gagarine, di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh

Un racconto di resilienza che fa leva sull’immaginario sognante del giovane protagonista e su un senso di comunità e di condivisione di valori. Pluripremiato ad Alice nella città

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Si apre nel segno della Storia Gagarine, film d’esordio di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh presentato in concorso e pluripremiato ad Alice nella città: sono le immagini d’archivio dell’inaugurazione di un complesso abitativo nella periferia parigina da parte di Jurij Gagarin, primo uomo a volare nello spazio, da cui la Cité prende il nome. Un progetto architettonico di 370 appartamenti che allora, siamo all’inizio degli anni ’60, rappresentava un’utopia collettiva – la convivenza di persone di diversa estrazione culturale e sociale – e che oggi, persa la connotazione più politica, è diventato il punto di riferimento di una comunità che non condivide semplicemente uno spazio fisico ma un insieme di valori, di ricordi e di sogni. Come quello del giovane Youri (prima prova per Alséni Bathily), che vorrebbe fare l’astronauta (un’assonanza che rimanda ad altre) e che si impegna in una missione per salvare il luogo in cui è nato e cresciuto, destinato a sparire per sempre in seguito alla decisione di demolirlo.

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Da un’immagine in 4:3 si passa a un formato panoramico: lo schermo nero si apre pian piano da destra a rivelare un’alba vista da una prospettiva “cosmica”; si vedono delle parabole in un sottofondo sonoro che rievoca una stazione spaziale, e dall’interno di una navicella arriva lui, il nostro eroe, vestito di tuta e casco. Realtà e immaginazione sono le due facce perfettamente intercambiabili che i registi scelgono per raccontare una storia che abita(va) il presente – nell’agosto del 2019 si sono conclusi i lavori di smantellamento – e che lascia in questo film tracce della sua esistenza: sono i profili di un edificio che si staglia verso il cielo con la sua massa imponente e riconoscibile; un corpo fatto di mura, scale, porte, androni, corridoi e attraversato da una corrente umana che ha ormai trovato in esso la propria dimensione, nonostante sia fatiscente e alcune parti cadano a pezzi.

Per Youri, che è stato abbandonato dalla madre, quella è la sua casa, la sua vera famiglia; se ne prende cura, la adatta alla sua condizione, costruisce al suo interno un habitat naturale quando fuori tutto è spento e privo di vita – restano solo i segnali luminosi della sua amica Diana (Lyna Khoudri, un’attrice che in pochissimo tempo si è ritagliata ruoli molto interessanti). Lo sguardo di Youri è quello di tanti ragazzi resilienti che fino alla fine portano avanti un ideale, che non abbandonano la nave a meno che non sia essa stessa a espellere il suo comandante e a partire solitaria per un nuovo viaggio.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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