Garin Nugroho: regista di un terzo mo(n)do

Cinema che aiuta a superare l'astrattezza di maniera facendoci familiarizzare con la terra da cui proviene. Cinema che ci aiuta a pensare attraverso le cose, non al di sopra di esse. A proposito di una retrospettiva, passata a Roma, dedicata all'autore più rappresentativo e imprevedibile dell'arcipelago indonesiano.

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Al Festival "Asiatica Film Mediale", giunto alla quarta edizione, un omaggio a Garin Nugroho. Proveniente dalla pubblicità, Nugroho è certamente il motore propulsivo del cinema indonesiano. Praticamente da solo ha tenuto in piedi l'industria cinematografica del suo Paese che negli anni novanta rischiava di andare in frantumi. I suoi film, coazioni a non ripetersi, sono schegge infilzate tra l'abitudine e il pregiudizio dello sguardo occidentale. Vi è un altro modo di fare cinema: vivere in prima persona le differenze culturali per comprenderle quasi fino in fondo. Esplorare la disintegrazione di un mondo immenso che nessun reportage dall'ester(n)o potrebbe eguagliare. Convogliare realtà e finzione sul tema ricorrente della ricerca dell'identità, indagando le idiosincrasie, le tradizioni, il passato. Cinema che aiuta a superare l'astrattezza di maniera facendoci familiarizzare con la terra da cui proviene. Cinema che ci aiuta a pensare attraverso le cose, non al di sopra di esse. I sensi planano sulle lacune/lagune della mente. Fenomeni che si perdono nel punto cieco della visione, di fronte ai quali siamo impassibili, immunizzati, per incanto si presentano carichi di simbolismo. Al processo di eliminazione si contrappone il processo di proliferazione "incontrollata". Ogni oggetto apparentemente superfluo si fa soggetto cinematografico proprio perchè nella vita quotidiana sfugge ostinatamente alla nostra attenzione. Nugroho rivela nuove composizioni di elementi reali che gli schemi convenzionali dominati dalle figure nascondono di solito ai nostri occhi. Queste composizioni che emergono per la prima volta sono nascoste dietro la facciata delle cose e spesso contraddicono il loro significato più appariscente. Cinema che aliena l'ambiente rappresentandolo. Cinema che chiede allo spettatore una nuova forma di attività: spostare l'occhio dal corporeo per penetrare nello spirituale e moltiplicare le percezioni sensoriali.

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Il debutto internazionale dell'autore (censurato in Indonesia) avviene al Festival di Berlino nel 1991 con Cinta Dalam Sepotong Roti (L'amore è una fetta di pane). Road movie sull'incapacità sessuale di un uomo e la verità che in passato lo ha reso libero. Il primo lungometraggio, ancora acerbo, già presenta alcune peculiarità: il supporto ossessivo e suggestivo della poesia e della letteratura, tra citazioni e narrazioni di genere. Due anni dopo, Surat Untuk Bidadari (Lettera a un angelo) è ambientato in una delle tredicimile isole dell'arcipelago indonesiano. Un giovane ragazzo deve fronteggiare i problemi che scaturiscono confrontandosi con il mondo degli adulti. Del 1995 è il documentario Dongeng Kancil Tentang Kemerdekaan (Kancil e il suo racconto di libertà) che affronta ancora le condizioni disumane dei bambini. Attraverso un'intervista-inchiesta si racconta la vita di alcuni "sciuscià" che sniffano colla, rubano, si nascondono tra i rifiuti, insomma, provano a vivere. Sempre del 1995 è Bulan Tertsuk Ilalang (E la luna balla); probabilmente il più complesso e concettuale lavoro di Nugroho. Premiato a Berlino con il Netpac e con il Fipresci, il film s'inabissa nella cultura antica javanese per un'enigmatica esplorazione delle tradizioni musicali e meditative. Del 2002 è Aku Ingin Menciummu Sekali Saja (La storia dell'uomo uccello). Splendido esempio di "docu-fiction" in cui si riflette sulla contrapposizione delle emergenze locali e le "icone" globali attraverso la richiesta d'indipendenza della Papuasia. Due film sovrapposti: si compongono tipiche atmosfere di vi(Cina) introspezione Un quindicenne è ossessionato dall'idea di baciare una donna incontrata fugacemente al porto. La donna è tornata dall'occidente, dopo un lungo viaggio, e scopre quanto sia difficile ritrovarsi e ripartire nella propria terra. Le lacrime scendono dal suo volto e il ragazzo vorrebbe raccoglierle, custodirle e comprenderle.


Sguardo ossimoro in statuario divenire: ogni inquadratura dell'autore indonesiano svela temporalità diverse. Il suo cinema è rarefazione e pressione del tempo, in combinazione. Tensione fra le immagini che fissano l'unicità dell'esistenza e lo scorrere delle "lancette" sopra queste stesse immagini: il passare della vita "attraverso" l'arte o il movimento essenziale di uscita dell'arte da se stessa, verso la vita e il suo costante rientro in se stessa. A Tarkovskij, Kubrick, Straub, si è più vicini. 

 

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