Ghali e Dargen D’Amico: polemiche a Sanremo

Le nette prese di posizione dei due cantanti in gara hanno scatenato un susseguirsi di polemiche e botta e risposta. Tra comunicati stampa al limite e conseguenti proteste social-televisive

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Di alzare un polverone non mi va (va)
Ma, come fate a dire che qui è tutto normale
Per tracciare un confine
Con linee immaginarie bombardate un ospedale
Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane
Non c’è mai pace

Il Festival di Sanremo si è appena concluso, ma le polemiche scatenatesi durante e subito dopo il suo svolgimento sembrano voler marchiare a fuoco questa e le settimane a venire. A differenza infatti del caso “qua-qua-dance”, responsabile dell’imbarazzo di John Travolta nella serata di mercoledì 7 febbraio, ma verosimilmente destinato a rimpinguare il calderone delle dispute sanremesi nate ed estintesi nel giro di qualche ora, ben altra risonanza hanno avuto i testi delle canzoni portate sul palco dell’Ariston da Ghali e Dargen D’Amico; nonché, in particolare, le dichiarazioni rilasciate dai due artisti a seguito delle rispettive esibizioni e nel corso di Domenica in nel “dopo Sanremo”. Ma andiamo con ordine.

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Le prime avvisaglie di una tensione politica latente, poi esplosa con lo “stop al genocidio” invocato dal cantante di origini tunisine nel corso della finale e con la diatriba generatasi di conseguenza, risalgono infatti alle prime due serate della manifestazione: a quel “cessate il fuoco” di Dargen D’Amico – chiaritosi il giorno successivo sostenendo di non aver mai “pensato di avvicinarmi alla politica, ero guidato dall’amore…” – e alla prima esibizione di Ghali, già foriera delle prime critiche da parte di Walker Meghnagi, presidente della comunità ebraica di Milano (“Ghali ha proposto una canzone per gli abitanti di Gaza, ma a differenza di Ghali non possiamo dimenticare che questa terribile guerra è il prodotto di quanto successo il 7 ottobre […] Sappiamo sulla nostra pelle che la propaganda finisce per armare le mani dei violenti. E ci chiediamo, dove sono i vertici Rai?”).

La prima replica del cantante, puntuale nello specificare di aver composto il pezzo prima dei fatti dello scorso ottobre, ma dettosi comunque convinto della necessità di prendere una posizione “perché il silenzio non suoni come un assenso”, ha però semplicemente rimandato l’inevitabile faccia a faccia. Fino a quando, nella serata conclusiva di sabato 10 febbraio, il siparietto tra Ghali e la mascotte aliena “Ricciolino” confluito nello “stop al genocidio” pronunciato al termine dell’ultima performance festivaliera dell’artista, ha di fatto scatenato un susseguirsi di botta e risposta che, a meno di particolari sorprese, continuerà ad animare le discussioni politico-social del prossimo futuro.

A seguito infatti di una nuova protesta portata avanti dall’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar, scagliatosi tramite X contro la 74esima edizione del Festival – a suo dire “sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile” – e supportato da alcune dichiarazioni provenienti dall’ambiente politico nostrano, tra cui quelle del capogruppo di Forza Italia al Senato e componente della commissione di Vigilanza sulla Rai Maurizio Gasparri (“Spero che i vertici dell’azienda si scusino con le autorità di Israele ed attuino interventi riparatori”), Ghali ha voluto rispondere alle critiche con fermezza, dichiarando, di fronte alla sollecitazione di un giornalista: “Io sono un musicista e ho sempre parlato di questo da quando sono bambino […] Da quando ho scritto le mie prime canzoni, a 13-14 anni, parlo di quello che sta succedendo. Non è dal 7 ottobre, questa cosa va avanti da un po’… Il fatto che lui parli così non va bene… “.

Anche se, a dire il vero, il “colpo di scena” della giornata ha avuto luogo qualche ora più tardi, quando poco prima di passare la linea al Tg1 delle ore 20, la conduttrice di Domenica in Mara Venier ha letto un comunicato stampa dell’amministratore delegato Rai Roberto Sergio, facendosi portavoce di un messaggio di sostegno a Israele: “Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano – e continueranno a farlo – la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas, oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele ed alla comunità ebraica è sentita e convinta”.

L’episodio, subito divenuto fulcro di pesanti critiche delle opposizioni politiche – che si sono lamentate di una mancanza di libertà d’espressione resa evidente dal solerte comunicato di Sergio – fa tra l’altro il paio con lo spiacevole scambio di battute avvenuto, sempre nel corso del programma, tra Venier e Dargen D’Amico. Quando, in occasione di un discorso sul tema dell’accoglienza dei migranti impostato dall’artista e dai giornalisti sulla base del testo di Onda alta, la conduttrice ha optato per un rapido cambio di focus, affermando: “Va bene, qui però è una festa, ci vorrebbe troppo tempo per affrontare determinate tematiche. Scusate”.

Momenti della diretta che, succedutisi a poca distanza l’uno dall’altro, sono di fatto il manifesto di una serie di prese di posizioni quantomeno sbilanciate – come peraltro sottolineato da Giulio Gambino sulla pagina Instagram di Tpi. E che, lungi da qualsivoglia attacco alla portavoce Venier, trovano forse adeguata risposta proprio nella lucida replica di Ghali (il quale sarà comunque ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa” domenica 18 febbraio su canale Nove): “La gente ha paura di dire stop alla guerra, stop al genocidio; stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono viva la pace”.

Ma qual è casa tua
Ma qual è casa mia
Dal cielo è uguale, giuro

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