Girasoli, di Catrinel Marlon

L’esordio alla regia dell’attrice e modella perde il potenziale esplosivo degli abusi nei manicomi per rincorrere una debole storia d’amore. #TFF41 Fuori Concorso/La prima volta

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Per il suo esordio alla regia la modella e attrice Catrinel Marlon, anche madrina della manifestazione, sceglie un tema molto delicato, quelle delle malattie mentali e del modo migliore di affrontarle. Lo fa spostando indietro le lancette del tempo, ambientando la storia da raccontare nel 1965, quando dentro gli ospedali psichiatrici le cure erano in prevalenza orientate ad un approccio di contenimento ed i metodi per ottenerlo erano crudeli e violenti. Quello rappresentato dal film non è un’eccezione: nell’istituto di Santa Teresa dove è rinchiusa Lucia i medici ed il personale si comportano con i pazienti in maniera umiliante e brutale. Poi l’arrivo di Anna, una nuova infermiera, e l’ostinazione della dottoressa Marie D’Amico (Monica Guerritore), contraria ad una terapia esclusivamente farmacologica (tredici anni prima della legge Basaglia che avrebbe sancito la chiusura definitiva dei manicomi), mettono in discussione tutto il sistema di reclusione ed aggiungono quell’umanità che mancava.

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Girasoli è tratto da fatti realmente accaduti, ma forse quello che gli fa maggiore difetto è la verosimiglianza della messa in scena, che non riesce a trasmettere l’efferatezza e la paura, lo stato di degrado fisico e mentale, il malessere. Non bastano i gesti di autolesionismo, i bagni gelati, l’uso delle camicie di forza, la sporcizia, il clima generale resta piuttosto depotenziato. Il sentore, considerate le premesse da film dell’orrore, è che la scelta, tra le altre cose, di accompagnare l’esposizione con le musiche di Cesare Cremonini, a favore di una love story impossibile, abbia smontato un’architettura orientata in altra direzione. Restano sicuramente delle attenuanti legate all’esordio dietro la macchina da presa; infatti è percepibile una curiosità legata all’uso delle inquadrature, ai movimenti della camera, alla resa descrittiva dei piani sequenza. Quando lo sguardo si abbandona alla pura contemplazione del terrore ottiene i suoi momenti migliori che purtroppo cadono subito dietro il ritorno ad una narrazione canonica, elementare, che priva le immagini dell’angoscia con un ricorso ai dialoghi per spiegare qualcosa di già esplicito e seguire la trama. Resta l’importanza politica e di denuncia dell’opera di ricostruzione storica, quella di mostrare le responsabilità della classe medica e degli ambienti religiosi, e non ultima l’esigenza di tenere un faro sempre acceso su delle patologie che per troppo tempo sono state considerate una vergogna sociale. Sul resto bisognerà lavorare.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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Il voto dei lettori
2.4 (5 voti)
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