Gone Baby Gone, di Ben Affleck

L’esordio registico di Affleck è una bellissima opera morale sulla fiducia e trasforma la ricerca della piccola scomparsa in un gioco di mascheramento e svelamento della verità.

--------------------------------------------------------------
CORSO SCENEGGIATURA CINEMA E TV, in presenza o online, NUOVA DATA DAL 27 MARZO
--------------------------------------------------------------

Casey Affleck vorrebbe potersi fidare. Fidare dell’altro Gerry che è Matt Damon, tanto da poterlo chiamare col suo stesso nome. Fidarsi che Jesse James non abbia capito che è stato proprio lui, Bob Ford, a venderlo alle forze dell’ordine. E in questo Gone Baby Gone, il detective Pat Kenzie di Casey Affleck vorrebbe fidarsi che la sua ragazza nonché collega di indagine, Angie Gennaro (Michelle Monaghan, già meravigliosa ne Lo spaccacuori dei Farrelly), lo segua e lo appoggi nella difficilissima scelta che si sente costretto a fare. “E’ una di quelle cose di cui ti devi sentire del tutto convinto, prima di farla. Sei convinto?”, gli chiede lei. “Per niente. Verrai con me lo stesso?”, ribatte Pat/Casey. “No.” No. Qui la sostanziale estraneità della Monaghan al ruolo, il suo non essere mai realmente in parte, si fa caratteristica essenziale del personaggio. Angie infatti, sin da subito diffida. Diffida degli amici ‘di strada’ di Pat, che il ragazzo ricomincia a frequentare allorché ha bisogno delle loro testimonianze per le indagini. Diffida di Helene (Amy Ryan, fantastica), la madre tossica e alcolizzata della piccola Amanda, la bambina scomparsa di cui i due investigatori stanno seguendo le tracce. “Quanto mi fai schifo”, le dice, proprio nella sequenza in auto in cui invece tra Helene e Pat si inizia ad instaurare un dialogo. Perchè Pat, al contrario, si fida – o almeno vorrebbe. Vorrebbe credere all’amore reale e autentico della ‘sbandata’ Helene per la sua piccola figlia. Vorrebbe credere che basti infilarsi una canotta bianca, un crocifisso d’oro al collo, e la giacca aperta di una tuta, per poter dare (di nuovo) fiducia ai suoi amici furfanti dei bassifondi e farli parlare: salvo poi trovarsi ogni volta costretto a dover svelare la sua anima di segugio, tirando fuori la pistola per poter uscire incolume dal bar, o minacciando retate della Polizia per sopravvivere all’incontro col Boss, Cheese.

--------------------------------------------------------------
IL NUOVO #SENTIERISELVAGGI21ST N.17 È ARRIVATO! in offerta a soli 13 euro

--------------------------------------------------------------

È in queste sequenze che Casey Affleck si dimostra in un certo senso sorprendente, riuscendo a trasformare la sua faccia pulita in un blocco serrato di marmo, di caparbia e determinazione, lo sguardo fisso di chi non sta scherzando. La svolta è probabilmente il primo incontro, nella cameretta della bimba scomparsa, tra i due detective e il capo della sezione dei crimini contro l’infanzia, Jack Doyle (Morgan Freeman). Il film s’è appena aperto con una serie di quadretti di desolazione urbana del quartiere popolare di Boston, il Dorchester, per poi bruscamente restringersi sul risveglio mattutino di Pat e Angie a casa: i nostri occhi avevano sussultato subito, nello stridere tra le facce lisce e modellate di Affleck e Michelle, a confronto con l’umanità disperata riversa tra i marciapiedi del quartiere. Ecco che però, lo scambio di battute a muso duro con Morgan Freeman, accende in Pat Kenzie la scintilla che lo farà diventare un personaggio vero ed affascinante, ancora in cerca di fiducia (compresa la nostra di spettatori). Aggrappato ad una fede verso le parole di Dio e del suo parroco (“siamo pecore in mezzo ai lupi: per sopravvivere al male che c’è nel mondo ed andare in Paradiso, siate astuti come serpenti, e innocenti come colombe”), e ad una fedeltà verso le forze dell’ordine destinata poi a scomparire. Nella vicenda entra infatti l’ambiguo e viscido personaggio del detective Remy Bressant (Ed Harris su toni e livelli di A History of Violence), del quale è bene non fidarsi.

Lo script di Ben Affleck si fida anche lui assai poco della scrittura di grana grossa di Dennis Lehane (che aveva già fornito il materiale per Mystic River): e allora sfoltisce il romanzo, lima i dialoghi, rende tutto più essenziale, credibile e diretto. E all’esordio dietro la macchina da presa, decide di affidarsi, stavolta sì, in toto alle luci ‘d’atmosfera’ e all’occhio suadente di John Toll, il cinematographer de La sottile linea rossa e Vanilla Sky. Con Toll, Ben Affleck gioca ad un continuo match di mascheramento e svelamento, dove i climax (la consegna del riscatto sulla cima rocciosa, l’irruzione in casa dei pedofili) e le sequenze d’azione sono sempre piene di zone d’ombra e volutamente oscurate, confuse: mai fidarsi dei propri occhi. E dove la verità sopraggiunge proprio nell’istante in cui il responsabile si toglie letteralmente una maschera (dopo la finta rapina al bar). Resta l’atto di fiducia finale di Helene nei confronti di Pat Kenzie, sulla cui autenticità il protagonista continuerà ad interrogarsi, ancora nel dubbio sull’aver fatto la scelta giusta, proprio quando la sua donna gli ha voltato le spalle.

Titolo originale: id.
Regia: Ben Affleck
Interpreti: Casey Affleck, Michelle Monaghan, Ed Harris, Morgan Freeman, Amy Ryan
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 114′
Origine: USA, 2007

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

Sending
Il voto dei lettori
3 (4 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE PRODUZIONE+DISTRIBUZIONE CINEMA. DAL 19 MARZO!

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative