Halloween Ends, di David Gordon Green

Sghembo, quasi capriccioso ma affascinante. È il capitolo più radicale della trilogia, quasi uno slasher da Sundance in cui il regista esplora l’elemento pop del cinema indie

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Halloween Ends, ma cos’è che finisce, esattamente? Finisce la nuova caccia all’uomo tra Laurie Stroude e Michael Myers, certo, ma finisce soprattutto lo strano “occultamento” subìto dalle traiettorie tematiche del racconto finora.

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Perché alle spalle della lettura quasi ‘kinghiana’ di Michael Myers che offre David Gordon Green con questa nuova iterazione del franchise, con il killer che è l’incarnazione del male assoluto, invincibile, inafferrabile, c’è un altro spazio inconcepibile, inimmaginabile, quello di un cinema nato “indipendente” che vorrebbe parlare la lingua del grande intrattenimento popolare.

Finora infatti la sua trilogia non è riuscita a liberarsi da un atteggiamento irrisolto: si è appoggiata al carisma di Myers e di Laurie Straude fin quando possibile, ha preso le mosse da premesse affascinanti ma ha lasciato emergere a fatica lo sguardo di Green. Così il lavoro sul materiale di Carpenter ha rischiato di essere ridotto ai livelli di un progetto d’occasione, che usa l’horror per riflettere su traumi della storia americana recente (il #metoo, l’assalto al Congresso del gennaio 2021).

Qui, la presa è invece più ferma. Lo racconta già bene il prologo, con il primo omicidio, improvviso, grottesco, ma soprattutto involontario. Perché il colpevole è Corey, ragazzino di buona famiglia che uccide per sbaglio il bambino a cui stava facendo da baby sitter. Additato come assassino dalla comunità di Haddonfield, il ragazzo troverà un’alleata in Laurie Straude, che proverà a difenderlo dai pregiudizi, ma non riuscirà comunque a trovare pace. Sceglierà di vendicarsi della cittadina e darà il via ad una nuova serie di uccisioni aiutato proprio da Michael Myers, ferito, nascosto nelle fogne ma comunque pronto a uccidere.

E allora ecco che Halloween Ends si pone già come il più radicale della nuova trilogia, quasi che in questo tentativo di tenere il Killer fuori campo ci fosse un ritorno alle atmosfere antologiche di Season Of The Witch, terzo capitolo del franchise di Carpenter e sorta di scheggia impazzita del racconto, unico episodio, finora, senza la presenza di Myers.

Eppure questa radicalità è un elemento tutto da discutere.

Perché sebbene a colpire sia proprio l’inatteso “passaggio di consegne” tra Myers e Corey ed il conseguente alone da sghemba origin story supereroistica che permea il film, il linguaggio del cinecomic pare un’interferenza di una narrazione che è, al contrario, convintamente grounded, coerente con la concretezza di quell’immaginario indie fatto di fabbriche, proletariato e nichilismo.

Eccolo, dunque, lo svelamento definitivo che regge Halloween Ends, quello di un cinema, di uno spazio, che David Gordon Green considera “proprio” e su cui, finalmente, egli può tornare ad avere un controllo tale da usarlo tanto quanto strumento creativo quanto come grimaldello per riflettere su altri immaginari.

Malgrado Halloween Ends sia il capitolo che riflette più lucidamente sulla paranoia americana, perfetto tassello finale del discorso “traumatico” organizzato da Green con il resto della trilogia, stavolta tutto si gioca in effetti tra le immagini, nel confronto serrato tra due idee di cinema, quella apertamente pop e quello “indipendente”, che lentamente stanno arrivando alla resa dei conti.

Messo in prospettiva, il ragionamento di Green intercetta una linea centrale del cinema contemporaneo, che sempre più di frequente pare esplorare atri modi di intendere il cinema popolare che non siano solo quelli legati alla sintassi massimalista. Lo hanno fatto anche i Daniels, con Everything, Everywhere, All At Once, ma se loro hanno scelto la diplomazia, sintetizzando una terza via al film pop a cavallo tra indie e blockbuster. Green è più risoluto. Tratta la sintassi da blockbuster come un’entità da mettere tra parentesi, da parassitare, depotenziare a vantaggio del “suo” cinema, quasi a voler lasciare intendere che in quell’Ends del titolo c’è la fine di un intero paradigma di intendere un certo tipo di cinema oggi.

Si imbarca in un’impresa ambiziosa ma ardua, David Gordon Green, che va dritto per la sua strada costruendo uno slasher da Sundance violento, pensoso, dai ritmi dilatati e attento alla dimensione psicologica della provincia americana che però non riesce a liberarsi di molti dei difetti dei capitoli precedenti, primo tra tutti un invadente didascalismo che sembra debba rendere evidenti tutti i moti interiori dei personaggi. Eppure, pur muovendosi con una rigidità da pamphlet, riesce a lanciarsi in exploit lucidissimi e a loro modo spiazzanti, tra un Myers ridotto per la maggior parte del tempo a risorsa passiva sfruttata dal nuovo assassino ed un epilogo forse solo apparentemente ottimista, che in tralice racconta piuttosto la spettacolare quanto inevitabile fine di un immaginario e del suo spettatore.

È sghembo, a tratti incoerente (a tal punto che si sforza di tenere “in panchina” i suoi eroi il più possibile ma, alla fine, i momenti migliori del film sono, come sempre, quelli in cui Myers e Laurie Straude arrivano allo scontro aperto) a suo modo capriccioso,  Halloween Ends, come se in ogni immagine volesse ribadire una verità nota solo al suo regista e tuttavia assoluta. Ma è anche libero, pronto a ripensare da zero un’icona incurante delle conseguenze, un raptus punk dall’afflato teorico, grezzo ma straordinariamente affascinante.

 

Titolo originale: id.
Regia: David Gordon Green
Interpreti: Jamie Lee Curtis, Andi Matichak, James Jude Courtney, Will Patton, Kyle Richards, Nick Castle, Rohan Campbell, Candice Rose
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 111′
Origine: USA, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3.33 (12 voti)
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