Hoard, di Luna Carmoon

Buon esordio della regista britannica, con un ritratto trasognato dei legami familiari e sociali e le gioie e i traumi che li attraversano. VENEZIA80. Settimana della Critica.

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Lembi di vita, gracili e vitali. Nel racconto eterodosso di Hoard c’è tutto questo. La forza del tempo e il potere sottile dei ricordi. Maria nasce negli anni ’80 e vive con sua madre Cynthia. Una donna eccentrica, una visione della vita non allineata e la fiducia che l’educazione della figlia debba evitare modelli ed essere ispirato soltanto da amore e libertà. Le crea attorno un mondo fantasioso, guardato naturalmente con sospetto per la sua anomalia. Funziona, fino a quando, dopo un incidente alla madre, Maria viene data in affidamento. Una lunga premessa, superata con un ellissi che ci porta fino agli anni ’90. Ritroviamo la protagonista ancora in quella casa che doveva essere una soluzione temporanea, ormai cresciuta. Che porta nella memoria il profumo di quel vecchio incantesimo impossibile da dimenticare. Ed insieme a vecchie e nuove conoscenza guarda alla realtà con lo stesso disincanto di una volta, la voglia di gridare e piangere, la malinconia negli occhi.

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Per il suo debutto alla regia nel lungometraggio Luna Carmoon sceglie di condividere uno sguardo viscerale, contaminato dalle atmosfere british, fatte di penombre e chiaroscuri. Compone un quadro anarrativo e sequenziale, perlopiù di interni, immaginati e raffigurati come pulsioni dello spirito. Radicale e silenzioso, quasi fantasmatico, tanto da sembrare a tratti un’esplosione onirica, ripiegato e contratto prima di spingere i corpi verso il desiderio, lasciandoli sfiniti e perplessi di fronte all’ignoto. Hoard è un sondaggio familiare eterodosso, sviluppato sulla consistenza dei legami attraverso l’amicizia e la vicinanza, nella loro continua sfida all’oblio. Varca la soglia del dolore in un gioco traumatico, con l’ingenuità di una bambina sorpresa di trovare la magia del Natale in qualunque situazione. Scarta verso le differenze, fa del difforme e del diverso un’isola di rivincita, non trascura però gli ostacoli, la vergogna della solitudine, diventa il messaggero incompreso di un’altra filosofia, deriso ed umiliato dalla massa. I tratti di originalità individuale, posti al principio di ogni rapporto umano, sono la convergenza di un universo sospeso, e sopra le linee di un distacco fisico stimolano la membrana percettiva dell’invisibile. Un suono, un odore. Il tesoro. La felicità. L’ardore. Parla la lingua del risveglio. Un film complicato, che si muove vicino agli estremi con la temerarietà di un’opera prima, e contiene i germi dell’alternativa, nella noia di una giornata senza Sole. Autoriale e dominato da linee spaziali compresse in un bassorilievo di cianfrusaglie. Da guardare con la dovuta pazienza.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3.25 (4 voti)
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