I volti della paura: Ralph Fiennes

"Red Dragon" e "Spider", due ruoli antitetici dentro lo psyco-thriller e il romanzo esistenziale. L'attore all'estremo: manieristico dentro il film di Ratner, strisciante in quello di Cronenberg

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Ralph Fiennes è tornato alla ribalta con due film in cui incarna i numerosi volti della follia: Red Dragon e Spider. Entrambe le volte l'attore si è dovuto confrontare con il personaggio inventato da uno scrittore contemporaneo. Nel caso di Thomas Harris e del suo Red Dragon, Fiennes ha prestato la sua bravura ad un prototipo di esagitazione: il suo "Dragone rosso", serial-killer collezionista di pelli umane, è sopra le righe e tetro almeno quanto ci sembra misurato e rigoroso il suo lavoro per Spider, il personaggio inventato dal romanziere Patrick Mc Grath. I due personaggi non obbediscono soltanto ad una differente vocazione espressiva (da un lato il cinema americano di genere, dall'altro il cinema d'autore più cerebrale) ma sono il risultato di due concezioni letterarie e cinematografiche autonome sebbene contigue: lo psycho-thriller e il romanzo esistenziale. Tuttavia, mentre in Red Dragon il maniaco dalla schiena tatuata incarna una visione esteriore, piuttosto manieristica, di ciò che siamo soliti chiamare follia, in Spider l'espressività di Finnies pare essersi sottoposta ad un processo di prosciugamento, e la misura recitativa si coniuga con gli straordinari effetti di straniamento voluti dal regista, momenti che rafforzano la sensazione di continuo slittamento cognitivo-percettivo richiesto allo spettatore. Ralph Fiennes che, sin da Schindler's list in cui era un nazista con il candore raggelante del criminale, aveva prestato il suo volto ai lati perturbanti di individui traditi dalla storia, negli ultimi tempi si erà un po' allontanato da quello che sembrava destinato a diventare un cliché: l'incarnazione poetica e maledetta del male di vivere. Con i nuovi lavori ritrova la dimensione di attore raffinato, metodico, attento alle sfumature dell'anima.

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Se al botteghino ha vinto Red dragon, che vede il ritorno di Hannibal Lecter, ovvero dell'istrionismo votato ad una follia da grandi platee, sul piano espressivo, invece, non ci sono praticamente dubbi: Spider è il film più antiretorico del suo autore, quel David Cronenberg altre volte frainteso, qui al servizio di un rigore espressivo a cui siamo quasi disabituati, profondo analista di un universo mentale colto in chiave non unicamente allegorica ma in virtù di un lavoro a più livelli sul senso della rappresentazione. Il suo è uno studio sul linguaggio come tramite per la comprensione del mondo. Spider, dopo un lungo soggiorno in un ospedale psichiatrico, torna a Londra nel quartiere della sua infanzia, in un centro di rieducazione che somiglia ad un malandato ricovero. Il suo tentativo di affrontare il passato scopre le molteplici ferite disseminate lungo la sua triste vita. Spider non parla, sussurra. Le sue parole hanno un senso a cui nessuno sembra prestare attenzione. La vita nel pensionato ha una sinistra reminiscenza kafkiana. Attorno a lui il reale sembra povero di attenzioni. Ma qualunque piccola sporgenza metaforica può riportarlo alla densità magmatica di un passato che ha i colori del sadismo più recrudescente. La recitazione di Fiennes è sobria e controllata così come la scrittura di Cronenberg pare seguire direttrici antispettacolari, lontani da facili visioni ad effetto. Il film anzi, sospende le dimensioni temporali canoniche, e lascia confluire presente passato futuro in una sorta di geometrizzazione spazio-temporale. Vediamo i genitori di Spider assieme, moltri anni prima, ma vediamo in un altro angolo dell'immagine Spider adulto mentre assiste ad un passato non elaborato. Questa iper-presenza dei differenti strati temporali fa il paio con la difficoltà di accedere al linguaggio della mente secondo i dettami della logica classica, del rigore apparente voluto dalle regole di causa ed effetto. Il film vive anzi di questa complessità e di questa compresenza di situazioni in apparente contrasto. Comunica straniamento e disinganno nel momento stesso in cui sospende qualunque facile risposta ma si concentra invece sulle domande. Chi ha ucciso la madre di Spider? L'amante e la madre erano davvero due persone distinte come sembra pensare Spider? (oltre tutto, le due donne sono interpretate dalla stessa attrice, Miranda Richardson, che interpreta anche il ruolo dell'istitutrice…). Il padre è stato davvero l'autore di un delitto oppure il rimando edipico è così traumatico da confondere la visione sul passato di Spider? Cronenberg, grazie ad una scrittura attenta ed alla recitazione misuratissima di Fiennes, ci porta dentro le figurazioni spettrali della mente, e in questo senso il film è sembrato a molti "freddo", poco sentito. Tutto il contrario. Spider è un film interiore, livido, che nel momento in cui non dà risposte, disturba, restituendo così l'angoscia di una mente, quella del suo protagonista, che al pari di noi spettatori non sa trovare il bandolo della "rete", fitta e ingarbugliata come sanno esserlo i ricordi. Ma il film, esattamente all'opposto di quanto succede in Red Dragon, non rinuncia a denunciare le pretese meschine di una società che ha perduto l'atteggiamento di comprensione, questa sì davvero importante e sentita, nei confronti di chi come Spider si trascina nel cono d'ombra dell'alterità. Fiennes non cammina, striscia. Non riesce mai a concludere i suoi gesti, bloccato dall'impossibilità di riconoscere il giusto senso del proprio agire. E se non possiamo sapere con certezza quale delitto sia stato commesso e da chi, Cronenberg ci descrive nondimeno, attraverso l'immersione ipervisiva del suo personaggio in un presente abitato dal passato, una società londinese deprivata di amore e di attenzioni nei confronti dei bambini. Perché il volto di Spider infante, potenziale autore di delitti edipici oppure vittima innocente di un padre omicida, mette sgomento per la crudele ipocrisia con cui tutti si rapportano a lui, lasciandolo solo senza un futuro di speranze.


 

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