Il silenzio grande, di Alessandro Gassmann
Evento Speciale delle Giornate degli Autori di #Venezia78 e ora in sala, Alessandro Gasmann torna alla regia con una riflessione balbettante sul rapporto padre-figlio (d’arte)
In un certo teatro Ottocentesco che va da Molière a Dumas figlio, il termometro morale relativo agli eventi accaduti sul palcoscenico era definito da un personaggio chiamato raisonneur.
E verrebbe di pensare a un raisonneur anche nel caso della governante interpretata da Marina Confalone nell’ultimo film di Alessandro Gassmann, Il silenzio grande: una donna pragmatica, dai modi spicci, vera anima della casa in cui ha sempre lavorato.
L’abitazione in questione è quella dei Primic, famiglia borghese partenopea che dopo anni di agiatezza è costretta a mettere in vendita la ormai ex lussuosa residenza in cui ha sempre vissuto. E con essa ricordi, sentimenti, rimpianti…
Con Il silenzio grande Alessandro Gasmann torna alla regia quattro anni dopo Il premio e per la prima volta in carriera decide di girare un film che non lo vede accreditato anche come attore.
E probabilmente a ragione. Perché in questo riadattamento della pièce teatrale scritta da Maurizio De Giovanni, in molti avrebbero potuto leggere, perlomeno in parte, una riflessione sul rapporto padre-figlio (d’arte) che da sempre riguarda i Gassmann. A un certo punto del film, infatti, proprio quando la signora Primic (Margherita Buy) decide di voler mettere in vendita la casa, a crollare per prime sono non tanto le fondamenta di un immobile ormai logorato dal tempo e dalla noncuranza, quanto piuttosto quelle basi emotive che negli anni avrebbero dovuto cementificare il rapporto tra il geniale scrittore Valerio Primic (Massimiliano Gallo) e i figli Massimiliano e Adele (rispettivamente Emanuele Linfatti e Antonia Fotaras).
Come per Lacci di Daniele Luchetti — anch’esso tratto da una storia poi divenuta pièce teatrale, scritta però da Domenico Starnone — pure nell’ingarbugliata storia della famiglia Primic il basso continuo che detta i tempi della sinossi è la mancanza di trasparenza nella costruzione dei legami familiari.Sullo schermo si susseguono quindi le vicende di un demi monde alle pendici del Vesuvio, la cui rappresentazione tanto si poggia su quella tradizione linguistica partenopea che fu dei De Filippo e di De Crescenzo.
Ma i libri sistemati secondo una «omogeneità emotiva» oppure la metafora del «silenzio grande» che dà il titolo al film, da soli, non possono bastare a reggere il ritmo di una storia che mai esce dal perimetro delle mura domestiche.
Allora, a più riprese, Il silenzio grande tenta la via del conflitto tra ciò che sembra e ciò che è, tra verità e immaginazione, tra ciò che è reale e ciò che no (in questo tentativo somiglia a The Father – Nulla è come sembra).
E sono probabilmente quelle le scene che funzionano meglio all’interno del film: su tutte, quella in cui Valerio Primic immagina la sua cameriera come una diva del cinema muto, in un siparietto che ricorda quasi le atmosfere dei Quaderni di Serafino Gubbio Operatore (e quindi il discorso sull’“aura” cinematografica che fu caro a Walter Benjamin).
Tolte queste intuizioni, però, Il silenzio grande si perde nel rincorrere una una tesi sbandierata già nel titolo. E, in nome di essa, sacrifica quelle parti di film che invece rendono più frizzante l’intera narrazione.
E se Dumas figlio, con le sue pièce à thèse, in un certo senso voleva fare i conti con la società del tempo e con il fantasma troppo ingombrante del padre, nel suo ultimo lavoro invece, Alessandro Gassmann circoscrive la riflessione morale alle sole dinamiche che riguardano un prototipo di famiglia altoborghese. Con tutte le fortune e i limiti del caso.
Regia: Alessandro Gassmann
Interpreti: Massimiliano Gallo, Margherita Buy, Marina Confalone, Antonia Fotaras, Emanuele Linfatti
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 106′
Origine: Italia, Polonia 2021