"Il villaggio di cartone", di Ermanno Olmi
Non c’è più un posto per il cinema di Ermanno Olmi. Non ci sono più alberi degli zoccoli o mestieri delle armi da filmare. Non ci sono più campi aperti da illuminare e mari da solcare. La vita, le cose e il cinema: tutto confinato in una chiesa vuota dal forte sapore bergmaniano che soffoca ogni apertura dello sguardo e (di)segna la sua personale e sincera Apocalisse
Non c’è più un posto per il cinema di Ermanno Olmi. Non ci sono più alberi degli zoccoli o mestieri delle armi da filmare. Non ci sono più campi aperti da illuminare o mari da solcare. La vita, le cose e il cinema: tutto confinato in una chiesa vuota dal forte sapore bergmaniano che soffoca ogni apertura dello sguardo e lo inchioda ad un doloroso presente. E l'alter ego Michael Lonsdale, prete ormai alla fine della sua missione, divorato dai dubbi sulla fede e sul senso dell’amore terreno, si rivolge qui per l’ultima volta ad una sala tristemente vuota: suggestioni che da Luci d’inverno del maestro svedese portano per associazione istantanea sino alla (cine)apocalisse di Tsai Ming Liang in. E questo Il villaggio di cartone è senza ombra di dubbio il film dell’Apocalisse per Ermanno Olmi: un dentro l’inquadratura ormai totalmente asciugato da ogni azione/movimento e un fuori campo che non può più essere percepito attraverso finestre e porte aperte sulla foschia del nulla. Gli unici sopravvissuti sembrano essere solo pochi derelitti migranti africani, che fanno improvvisamente capolino nella chiesa vuota incontrando gli spiragli di solidarietà di un prete ormai convinto che “il bene sia più importante anche della fede stessa”. Ecco che il discorso personalissimo di Olmi sul suo rapporto con il cattolicesimo (già portato al punto limite col precedente Good Bye Dragon InnCentochiodi, che però contemplava ancora uno spazio e un tempo per la riflessione) si chiude qui con la presa di coscienza di una fine, di una ricerca probabilmente rimasta irrisolta, di un’umanità ormai totalmente priv(at)a di sbocchi e prospettive. Il cinema in tutto questo rimane pura forma: echi (post)felliniani frenati da un rigore morale dell’inquadratura che ricorda il primo Bresson; oggetti, volti e gesti intasati da un perenne simbolismo che li soffoca e li pietrifica. L’Apocalisse per Ermanno Olmi appunto: un non luogo filmato da un pianeta lontano lontano, popolato da simboli che non riescono proprio più ad esercitare la loro funzione originaria (la ricerca disperata dell’umanità di Cristo marca una forte volontà di andare oltre il simbolo della croce) e accerchiato dalla morte incombente incarnata da una fantomatica Legge. Il villaggio di cartone è pertanto un film ingiudicabile se non da una prospettiva allargata all'intera gloriosa carriera di un regista che ha sempre fatto della sincerità disarmante della sua messa in scena una cifra stilistico-autoriale riconoscibile e coerentissima. Andando oltre ogni ingenuità narrativa o estetica, oltre un approccio al cinema evidentemente retrò e oltre quelle immagini/set così spudoratamente "costruite", si può avvertire la sconvolgente sincerità di un anziano artista che cerca ancora umilmente il proprio posto nel mondo.
Regia: Ermanno Olmi
Interpreti: Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, Ibrahima Faye
Origine: Italia, 2011
Distribuzione: 01 distribuzione
Durata: 87'
Tanto rispetto x olmi e x quello ke ha fatto in passato ma sto film e' un po' palloso