Insidious. La porta rossa, di Patrick Wilson

Questo quinto capitolo raccoglie solo in parte l’eredità dei primi due diretti da James Wan. La storia è formalmente più classica e l’orrore casalingo si converte in fugaci reminiscenze ipnotiche.

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Non è un caso che questo quinto capitolo della saga di Insidious inizi con un funerale. È quello della madre di Josh Lambert (Patrick Wilson) che, dopo nove anni segnati da un divorzio e dall’inasprimento della propria memoria, si ritrova ad affrontare il difficile rapporto con il figlio Dalton (Ty Simpkins) divenuto con gli anni sempre più chiuso ed insicuro. Il ragazzo, che sta per frequentare il college, inizia ad essere ossessionato da incubi. I demoni del passato sono tornati per tormentare non soltanto lui ma anche suo padre. Il prologo è talmente simbolico e carico di malessere che, più di un film sulla fuoriuscita di un immaginario come quello di Insidious, sembra il necrologio di un’eredità di sguardo sepolta dalla paura di non essere stati abbastanza all’altezza della situazione. E non è neanche un caso che sia lo stesso Wilson a raccogliere il testimone dei primi due capitoli diretti da Wan, raccontando una storia formalmente più classica ma carica di un orrore che preferisce consumarsi dentro il rapporto, dietro l’insicurezza di un padre incapace di ammettere le proprie debolezze, i propri sbagli. E in tutta la sua prima parte Insidious. La porta rossa va proprio in questa direzione, divenendo un’opera autocontemplativa quasi assestante dal resto della saga, dove le lacrime nascoste con vergogna da Wilson, dopo una discussione col figlio, testimoniano la crucialità di un corpo, come quello dei Lambert, in grado di addentrarsi in un prodotto che nei suoi albori ha saputo canalizzare il terrore dell’occulto in una dimensione profondamente anacronistica e che con gli ultimi due capitoli purtroppo si era largamente persa.

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Ed è proprio discutendo di eredità perdute e di ricordi nefasti che Wilson preferisce soffermarsi sull’assenza di un punto di riferimento da seguire sia dentro che fuori lo schermo, partendo proprio dalla matrice immaginifica di James Wan. Gli sprazzi di uno degli autori più influenti dell’horror contemporaneo si avvertono, sono palpabili ma, complice un testimone al quanto ostico da portare avanti soprattutto ad una prima regia, Wilson preferisce convertire gli spazi infinti ed angusti dell’orrore casalingo in un amarcord di fugaci reminiscenze ipnotiche racchiuse non più nelle fotografie, non più nell’esoterismo, bensì unicamente nelle anticamere mnemoniche. Solo così le condizioni spaziali e le suggestioni gotiche dell’Altrove si annullano, trascinando a sè il peso della creazione altrui, della consapevolezza di raccontare un immaginario talmente criptico da risultare limitato nella sua interezza. Ed è un fattore da non sottovalutare l’aver sviscerato il proprio potere e, in concomitanza, i propri incubi attraverso la genuina senilità di un uomo arrivato alla consapevolezza del suo tempo, in fondo mai così vicino da regalarsi un’ultima possibilità di redenzione in un modo sempre meno umano, sempre meno legato al sentimento dell’inadeguatezza.

 

Titolo originale: Insidious: the Red Door
Regia: Patrick Wilson
Interpreti: Patrick Wilson, Ty Simpkins, Lin Shaye, Rose Byrne, Hiam Abbass, Andrew Astor, Juliana Davies, Sinclair Daniel, Peter Dager, AJ Dyer, Mary Looram, Jarquez McClendon, Jaylin Loveday
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 107′
Origine: USA, Canada, 2023

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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