Italia. Il fuoco, la cenere, di Céline Gailleurd e Olivier Bohler

I due registi utilizzano del prezioso e raro materiale d’archivio per ricostruire l’atmosfera del periodo del cinema italiano muto, dal 1896 al 1929.

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L’alba del cinema italiano. I film muti dal 1896 fino al 1929 ammontano a più di diecimila e sono stati visti e apprezzati anche oltreoceano. Un tesoro andato per la maggior parte perduto a causa della invasione nazista di Cinecittà alla fine della Seconda Guerra Mondiale con il sequestro delle pellicole e il successivo incendio del magazzino tedesco che le conteneva. Céline Gailleurd e Olivier Bohler utilizzano prezioso e raro materiale d’archivio per ricostruire l’atmosfera di un periodo magico in cui attori registi scrittori produttori erano coinvolti in un progetto ambizioso: rendere esportabile il prodotto cinematografico italiano, tra il simbolismo Verdiano e il Decadentismo dannunziano.

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Raccontato dalla voce di Isabella Rossellini per l’edizione italiana, e di Fanny Ardant per quella francese, il documentario rivela come l’avvento del fascismo e l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale abbiano comportato il passaggio da un cinema artistico a una operazione di propaganda bellica. Se nella prima parte il teatro, la letteratura, la lirica, la poesia, la musica sono fonti di ispirazione per cineasti importanti come Emilio Ghione (Il circolo Nero, Za La Mort) e Giovanni Pastrone (Cabiria, Il fuoco, Tigre reale), nella seconda parte con l’ascesa di Benito Mussolini al potere registi come Mario Camerini (Rotaie) e Alessandro Blasetti (Sole) si impegnano a divulgare le opere di bonifica ambientale e i velleitarismi futuristi del neonato regime fascista.

Con un montaggio particolarmente accurato e cadenzato dalle musiche di Lorenzo Esposito si susseguono frammenti di vita reale alternati a personaggi di finzione: da un lato il deragliamento di un treno, bambini su di un asinello, le immagini della prima guerra mondiale con decine di cadaveri, le prime rivolte operaie; dall’altro le grandi attrici del cinema muto come Francesca Bertini e Lyda Borelli, il melodramma amoroso, Maciste e il peplum, il noir, l’opera lirica (Turandot), le grandi scenografie di Cabiria, le imponenti scene di massa.

Ci sono due caratteristiche che emergono in questo 15% di immagini mute scampate alle fiamme: una certa tendenza a mostrare il corpo (“la carne è fotogenica” dirà Louis Delluc) e un senso perenne di movimento, di vitalità correlata alla velocità. Come se il rapporto tra il gesto e la figura umana richiamasse il legame tra ritmo e melodia. E mentre migliaia di fotogrammi si imprimono sulla retina sentiamo recitare dalla Rossellini le parole di Pirandello sugli attori (“sono schiavi di questa macchinetta stridula”), i ricordi di Fellini infante al cinema Fulgor a Rimini (“tutti i film che faccio sono la ripetizione di Maciste all’inferno”), le precisazioni tecniche di Pastrone (“È in Cabiria che per la prima volta apparve la carrellata della macchina da presa”). Eppure dalle ceneri di questo falò dei ricordi nasceranno i grandi autori del Neorealismo e della commedia all’italiana. Dalla fragilità di una pellicola in fiamme si genererà un’immagine estesa al confine con lo spirituale.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
2 (1 voto)

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