JOE DANTE: "Ho rispettato il punto di vista dei cartoons"

In occasione dell'uscita italiana di "Looney Tunes: Back in Action", ultimo straordinario lavoro del regista di “Gremlins” e “Small Soldiers”, pubblichiamo il testo integrale della conferenza stampa tenuta da Joe Dante nel corso del XXI Torino Film Festival. L'incontro è stato moderato dalla codirettrice Giulia D'Agnolo Vallan.

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TORINO, 19 novembre 2003

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GIULIA D'AGNOLO VALLAN: I Looney Tunes sono un grandissimo amore di Joe Dante da sempre e lui tempo fa aveva già un progetto, che si chiamava "Termite Terrace", incentrato su questi personaggi. Vorrei che ci parlassi di questa passione e anche di questo originario progetto.


JOE DANTE: Quando ero bambino i cartoni animati erano ovunque nella cultura americana, venivano proiettati nelle sale cinematografiche prima dei film, passavano in televisione e io ero anche un avido lettore di fumetti, tant'è che quando ero piccolo volevo proprio fare il fumettista. Tra i cartoni animati che venivano proiettati al sabato mattina, gli applausi più calorosi venivano ricevuti da quelli della Walt Disney e della Warner Brothers: io preferivo i personaggi animati della Warner perché erano un po' più irriverenti e taglienti.


"Termite Terrace" è il nome dell'edificio dove, negli anni Trenta e Quaranta, lavoravano i grandi animatori della Warner Brothers. Chuck Jones, uno dei più celebri, scrisse un libro nel quale narrava la sua esperienza personale, di come avesse lasciato Hollywood negli anni Trenta per dedicarsi prevalentemente all'animazione. Così io pensavo che questo libro fosse un ottimo spunto per fare un film, perché in pratica racconta la storia dell'animazione di quegli anni ed è ricco di aneddoti: pertanto ho scritto una sceneggiatura per fare questa "videostoria" sugli animatori d'epoca. Ma quando ho presentato il progetto alla Warner, che detiene i diritti su tutti i personaggi animati in questione, i dirigenti si dissero non interessati a creare questo documento di valore storico. Parliamo del periodo in cui apparve Space Jam.


Dal momento che nei suoi film lei ha utilizzato spesso personaggi animatronici o comunque creati al computer (ad esempio in Small Soldiers) volevo sapere com'è dirigere degli attori in carne e ossa che devono parlare davanti a uno schermo blu o comunque a oggetti inanimati. Quali consigli dà e soprattutto se pensa che a volte sia meno stressante per un regista dirigere personaggi animati che delle vere star, magari bizzose…


JD: Io ho fatto vari film usando ovviamente tecniche diverse, perché col tempo la tecnologia diventa sempre più complesse e più realistica: ad esempio se rifacessi oggi Gremlins potrei utilizzare la CGI e sarebbe sicuramente un film molto diverso da quello che avevo fatto allora. Noi facciamo i nostri film muovendoci nello spazio delimitato dagli effetti speciali di un determinato periodo, per cui man mano che questi si evolvono, i limiti si ampliano e i risultati sono diversi.


Per quanto riguarda questo tipo di film, che si tratti di cartoni animati o mostri immaginari che vengono comunque inseriti in post produzione, la faccenda non cambia molto: bisogna sempre tenere presente le posizioni dove verranno inserite le creature del caso. In Looney Tunes: Back in Action gli attori hanno dovuto mostrare delle doti molto particolari nella recitazione proprio perché reagivano a battute inesistenti, dal momento che Bugs Bunny e Daffy Duck sarebbero entrati nel film "soltanto" 20 mesi dopo di loro. Quindi abbiamo lavorato facendo delle prove con pupazzi, burattinai e imitatori delle voci dei cartoons, che hanno aiutato gli attori ad avere la percezione fisica dei personaggi animati con cui dovevano interagire. Così, nel momento della ripresa vera e propria, gli attori avevano memorizzato quello che si doveva fare e l'effetto che si doveva ottenere, e si poteva procedere. Ci vuole sicuramente un talento molto particolare da parte degli attori per riuscire a fare un lavoro di questo genere e Brendan Fraser è bravissimo, ad esempio, a fissare un punto nello spazio in lontananza e a farti credere che ci sia qualcosa lì mentre non c'è assolutamente niente. Certamente non è facile per gli attori e così abbiamo tentato di aiutarli il più possibile: è comunque un lavoro molto difficile e anche noioso.


Come è avvenuta effettivamente la scelta degli attori in carne e ossa? E poi una curiosità: non fare le riprese all'interno del vero Louvre è stata una scelta di tipo economico o c'è stato dell'altro?


JD: Per quanto riguarda la scelta del cast abbiamo cercato di trovare degli attori che avessero proprio lo "spirito" dei cartoni animati. Così, per fare un nome, Steve Martin ha dato un'interpretazione che è veramente esagerata in questo senso. A proposito delle riprese nel Louvre, invece, la scelta è stata quella di non girare nei luoghi reali: quella che infatti volevamo rappresentare nel film è comunque una Parigi stilizzata e molto cinematografica.


GDV: Come diceva Dante prima, i cartoni animati della Warner sono sempre stati storicamente più taglienti e affilati. Rispetto a un film come Space Jam, questo Looney Tunes: Back in Action sembra riportare questi cartoons al loro spirito originario.


JD: Negli ultimi dieci, quindici anni, i personaggi a cartoni animati della Warner Brothers sono diventati più "giovanili" rispetto all'inizio della loro carriera: tutto questo è poi culminato in Space Jam, dove, secondo me, i vari carachters erano un po' fuori parte, nel senso che erano stati presentati tutti in modo abbastanza uniforme. Era come se delegassero a Michael Jordan la risoluzione di tutti i loro problemi. Invece quello che ho cercato di fare con questo film è stato di restituire lo spirito e la dinamica di quelli che erano i personaggi nei cortometraggi animati degli anni '40 e '50. Ho cercato di rispettare le caratteristiche codificate dal loro creatore Chuck Jones, per esempio il fatto che Duffy Duck sia invidioso di Bugs Bunny a sua insaputa. Ho voluto, insomma, riportare tutto sui binari originari.


Proprio facendo il paragone con Space Jam, nel suo film si ha alla fine l'impressione, direi quasi la tentazione, di prendere un po' più seriamente i cartoni animati e molto meno gli umani. E' un'impressione plausibile?


JD: Coloro che amano i cartoni animati normalmente non amano questa commistione fra personaggi umani e carachters animati in uno stesso film, perché considerano quella del cartoon come una forma artistica separata. Così, secondo loro, umani e cartoni non dovrebbero nemmeno comparire in una stessa inquadratura: ovviamente queste persone non sono in grado di apprezzare una pellicola come Looney Tunes: Back in Action, come nessun altro film dello stesso genere.


La cosa più difficile quando si decide di raccontare due storie insieme come in questo film – escludendo i problemi tecnici del rendere i cartoni "vivi" come gli esseri umani all'interno di una stessa sequenza – è proprio quella di chiedersi che prospettiva si intenda adottare, se quella degli umani o quella dei cartoni animati. La nostra scelta è stata quella di cercare di rendere la storia più cartoonesca possibile: in tal senso non c'è una vera e propria storia nel film, che è invece composto da una serie di cortometraggi. Anche le parti "cattive", volevamo sembrassero il più possibile come dei cartoni animati. Questo sicuramente significa che il film non vincerà un Oscar per la sceneggiatura, ma non era questo il nostro scopo: io credo che Looney Tunes: Back in Action sia un vero film per famiglie, in quanto può essere visto da una intera famiglia. Gli adulti rideranno per certi aspetti del film e i bambini per altri. In questo senso è una commedia. Poi, come tutti sanno, i cartoni animati sono sempre più furbi degli esseri umani.


Nel film è stata presentata una nuova figura di cattivo, molto macchiettistica, impersonata da Steve Martin. Ci può dare alcune informazioni su questa figura? Inoltre, poiché questo personaggio ha come nome "signor Presidente", vorrei sapere se c'è per caso qualche riferimento alla realtà.


JD (divertito): Innanzitutto nego che ci sia qualunque nesso fra il "Mister Presidente" del film e il Presidente del mio paese. Detto questo ci sono effettivamente delle caratteristiche di somiglianza… Ma per rispondere alla prima parte della domanda, il personaggio del "cattivo" magnate di un'industria è tipico della storia del cinema americano, da Frank Capra in avanti. L'impostazione che ha dato Steve Martin al personaggio è stata quella di una specie di Bill Gates infantile. Si è trattato di un approccio molto personale, tanto che Martin ha modificato la sceneggiatura, improvvisando molto sulla creazione del suo personaggio. Può sembrare stupefacente che in un film tecnicamente così complicato ci sia spazio per l'improvvisazione, ma in realtà questo è possibile, ovviamente compatibilmente con le esigenze degli effetti speciali. Tornando invece al paragone con il Presidente, tutti i film comunque esprimono un'idea politica per cui anche un film "stupido" come questo ha la sua. [Può essere interessante apprendere che, nella serata finale del Festival, salutando il pubblico, Joe Dante ha ironicamente espresso il desiderio di tornare a casa e di trovare un altro Presidente al posto di quello attuale; n.d.r.]


Pensando soprattutto a Gremlins e Small Soldiers, ma anche a quest'ultimo Looney Tunes, vorrei chiederle se si ritiene affascinato dall'immaginario infantile. Se sì, in che senso? E in che senso si sente diverso da un altro regista che sicuramente è affascinato da quell'immaginario, cioè Steven Spielberg?


JD: Prima differenza fondamentale con Spielberg è che io sono molto più povero di lui. Per quanto riguarda Gremlins, quando è uscito è stato presentato come il "lato oscuro" di Steven Spielberg perché lui aveva fatto da poco E.T. e le famiglie che andavano a vedere Gremlins si aspettavano lo stesso tipo di atmosfera calda, solare, luminosa. E invece si sono trovati delle tonalità e dei colori molto diversi, perché comunque la mia visione del mondo (e di conseguenza quella che emerge dal mio cinema) è sicuramente meno solare di quella di Spielberg: forse la mia è più a contatto con la realtà. Poi ognuno di noi si interessa di cinema e lo fa ovviamente a modo suo. Del cinema ci si innamora in tenera età, quindi è normale che poi uno cerchi di rivivere la propria infanzia e i giochi che si facevano da bambini. Questo è vero soprattutto con un cineasta: se da bambino giocava ai cowboy e agli indiani, quello che fa da grande è continuare a fare lo stesso con qualcuno intorno che intanto lo riprende. Io non so cosa avrei fatto se non avessi fatto il cineasta: probabilmente, come dicevo prima, il fumettista. Ogni tanto penso che se dovesse esserci la fine del mondo, un ipotetico Giudice che seleziona i sopravvissuti chiederebbe a tutti "tu cosa hai fatto nella vita?". Altri risponderebbero "ho fatto il fioraio" o "ho fabbricato scarpe", io direi "il cinema" e così la reazione del Giudice sarebbe: "bene, mangiamolo!"


Lei è sempre stato un autore soprattutto di Horror e di Fantascienza, ma anche uno che fa critica sociale. Volevo sapere da dove nascono queste due anime. E poi una curiosità: perché porta sulla cravatta una spilla di Felix il Gatto?


JD (ridendo): La spiegazione per la spilla è che la Warner Brothers non mi ha ancora dato quella di Bugs Bunny e quindi per ora tengo questa. Un cineasta spesso è inconsapevole di quelle che sono le proprie inclinazioni per determinati generi, sono magari gli altri che gliele fanno notare dopo. Ogni film naturalmente contiene un insieme di cose che un cineasta ha dentro ed è poi il pubblico che riesce a individuarle in un film. Proprio grazie a questo il film prende vita ed esiste come espressione artistica a sé, però non è una cosa di cui uno sia consapevole.


Trascrizione e revisione a cura di Davide Di Giorgio

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