John Wick 4, di Chad Stahelski

Il quarto capitolo realizza pienamente il progetto originario di Reeves e Stahelski: un’opera senza compromessi, una vetta assoluta: qual è il luogo deputato del cinema (d’azione) oggi?

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L’altro giorno qualcuno mi chiedeva dove poter vedere una raccolta di highlights di questo quarto capitolo di John Wick per ovviare alla lunghezza proibitiva del film, e la mia risposta è stata “nelle varie clip di backstage pubblicate su YouTube”: davvero da un certo punto di vista il senso ultimo del progetto di Reeves e Stahelski è ancora una volta nella pratica del set, negli stunt dalle coreografie impossibili, nelle invenzioni formali capaci di rinnovare lo stupore verso le possibilità effettive della macchina. In quest’ottica il dialogo più serrato dovrebbe essere con le incarnazioni recenti dell’Ethan Hunt di Tom Cruise nei Mission: Impossible dell’era McQuarrie, ma la questione per quanto riguarda John Wick è assai più complessa, o almeno lo è diventata col tempo, con un terzo episodio che portava già alle estreme conseguenze tutte le intuizioni “espositive” dell’avanguardistico Skyfall di Mendes/Deakins.
Ecco, il nuovo film di Chad Stahelski (che non a caso forse è anche il più apertamente bondiano del lotto, con le partite a poker e un villain da Spectre ecc) è con ogni evidenza quello dove giunge a piena realizzazione il concept con cui è stato portato avanti per quattro capitoli questo esperimento di cinema pensato da uno stuntman come addestramento continuo del suo attore protagonista ad una pratica di lotta inventata per l’occasione ibridando forme preesistenti. John Wick 4 è allora innanzitutto la performance estenuante di Keanu Reeves, sorta di decathlon senza tregua che coinvolge costantemente il corpo dell’interprete in imprese a difficoltà progressiva e al quale, semplicemente, viene dato il via dalla sequenza nell’incipit in cui viene richiamato in azione da Laurence Fishburne: “li ammazzerò tutti”, e da quel momento la trasfigurazione di Keanu è assoluta, in una specie di entità inarrestabile, demone inscalfibile (Baba Yaga, lo chiamano i cattivi) nonostante cadute da altezze vertiginose e ferite multiple, spirito capace di parlare letteralmente tutte le lingue di Babele.

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Il lunghissimo scontro di Osaka contro l’esercito senza volto dentro l’ennesimo art-hotel della saga, poi la furibonda sezione rave berlinese, e infine la notte di caccia alla The Warriors (con tanto di dj che annuncia gli spostamenti di Wick tra gli arrondisements) a Parigi: in ognuna di queste installazioni site specific Reeves irrompe in quelli che sembrano panels di videoarte destinati a ripetersi in loop, come quadri di una galleria contemporanea in cui basta un istante per spostarsi di luogo in luogo (una traccia puramente greengrassiana) – e infatti la gente continua a ballare mentre lui e Scott Adkins se le danno di santa ragione nella boss fight (d’altronde non esiste movimento che non sia coreografico, qui), e il traffico continua a scorrere durante l’assurdo scontro intorno all’Arco di Trionfo.
Sono personaggi non giocanti, per tornare alla metafora videoludica che il film, come d’altronde tutta la serie, esplicita qui direttamente nel pianosequenza ripreso dall’alto dentro il palazzo abbandonato, o nell’idea stessa degli hotel Continental per killer sparsi per il mondo come punti di sincronizzazione di un Assassin’s Creed per il cosiddetto viaggio rapido, e soprattutto nella concezione di ascensione che accompagna ogni incarnazione di Keanu sin dai tempi bertolucciani (l’abbiamo raccontato qui) – salendo di livello sale il calibro delle armi, la resistenza dell’armour (il vestito a prova di proiettile), la difficoltà delle run: e infatti la scalata finale al Sacro Cuore il nostro eroe dovrà ripeterla almeno due volte, ricominciare letteralmente la partita dall’ultimo salvataggio.

Riducendo il plot ad una death race cormaniana con tanto di montepremi che lievita, Stahelski opera una sintesi lucidissima quanto spericolata, il film inizia a cavallo nel deserto e finisce con un duello (vorrà dire qualcosa se le uniche armi in grado di procurare reali ferite a Wick siano le antidiluviane “pistole da duello” scelte per il singolar tenzone), nel mezzo però a volte somiglia ad un visual per un festival di musica elettronica, altre rende evidente la paternità di questo linguaggio, della concezione volumetrica dell’azione, qui testimoniata dal segno intracciabile di Donnie Yen. Ce n’è abbastanza per riflettere per anni sul “luogo deputato” del cinema, sui fondali totalmente virtuali, impalpabili, interscambiabili e insieme tangibili, attraversabili, ancora altamente infiammabili, con cui stiamo erigendo le nuove mura di questo edificio di interesse storico da preservare.
Come ha spesso notato Pietro Masciullo, si tratta di un’esperienza lontanissima dalla lingua del cinema come la conosciamo e insieme connessa profondamente con le origini del medium: e allora, tutta la narrazione che da quattro film va costruendo questa mitologia di una società parallela, di punti di ritrovo nascosti in bella vista nelle metropoli del mondo, di una realtà sotterranea che segue regole e mappe criptate, sembra quasi volerci raccontare anche di una intera galassia di sottoculture che brucia, arde con intensità proprio sotto il primo strato di cenere dell’immaginario mainstream (in questo il riferimento al cult di Walter Hill è centratissimo).
Guardarci dentro è il primo passo per iniziare ad accorgersi delle connessioni pulsanti davanti ai nostri occhi immersi nel flusso di scontri che non generano attrito, di superfici che scivolano una dentro l’altra, di vetrate che riflettono le luci irreali per cui anche il sole nudo dell’alba finale puoi confonderlo con un neon (no time to die?). Anche per questo motivo si tratta, semplicemente, del più grande film d’azione hollywoodiano dai tempi di Mad Max – Fury Road. Un’opera senza compromessi.

Titolo originale: id.
Regia: Chad Stahelski
Interpreti: Keanu Reeves, Donnie Yen, Bill Skarsgård, Laurence Fishburne, Hiroyuki Sanada, Shamier Anderson, Lance Reddick, Rina Sawayama, Scott Adkins, Ian McShane, Marko Zaror, Natalia Tena, Aimée Kwan, Clancy Brown, Brahim Chab
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 169′
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
Sending
Il voto dei lettori
1.63 (49 voti)
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