Juho Kuosmanen, videocamere rubate e anti-spettacolo

Juho Kuosmanen, premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria, arriva al cinema con Scompartimento N°6 portando avanti il suo cinema dell’antispettacolarizzazione e della leggerezza

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Solo chi conosce il proprio passato può conoscere il suo presente. Con questa frase inizia Scompartimento n°6, il film del regista finlandese Juho Kuosmanen che è in sala da domani distribuito da BIM ed è stato scelto come rappresentante per la Finlandia agli Oscar 2022 nella categoria miglior film straniero. Tratto dal romanzo di Rosa Likstrom, Kuosmanen sposta la lancetta dell’orologio avanti di dieci anni. Ambientando il suo film non più negli anni ’80, come nel libro, ma negli anni ’90. Un periodo ancor più florido per quanto riguarda la rivoluzione tecnologica. Walkman e videocamere diventano totali protagonisti di una società proiettata verso il futuro, che raccoglie continuamente immagini e suoni e che però ne rimane vittima. Non si riesce più a vivere lontani da queste nuove macchine che fanno da filtro verso i reali sentimenti. La protagonista ingabbia di giorno in giorno i suoi ricordi e solo quando perderà le feste e i volti appartenenti al proprio passato riuscirà finalmente a godersi il viaggio più importante della sua vita. Quello che la farà crescere definitivamente.
In Scompartimento n° 6 sono presenti tutte le tematiche che ha sempre portato avanti Kuosmanen che si sta affermando come una delle nuovi voci autoriali più interessanti del momento. Un regista che predilige un tipo di cinema di stampo più classico, innamorato della nostalgia, del passato e del tema del viaggio che si fa metafora di un sempre maggiore avvicinamento verso la fine dell’esistenza. Un regista a cui piace la realtà che si nasconde dietro le cose, realtà che riesce sempre a far fuoriuscire tramite i suoi personaggi imperfetti e goffi, tramite una strana tipologia di umorismo alla Kaurismäki che nasconde, alla radice, sempre un alone sfocato di tristezza e nostalgia.

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Inizia la sua carriera con il mediometraggio Taulukauppiat (The Painting Sellers), presentato come tesi all’Università di Cinema Aalto di Espoo, con cui vince il primo premio nella sezione Cinéfondation al festival di Cannes, mettendo in scena un film che si costruisce intorno ad un realismo radicale grazie anche ai suoi protagonisti non professionisti che impersonificano tre individui costretti ai margini. Dopo aver tracciato traiettorie di verosimiglianza che subito ci fanno tornare in mente il cinema dei fratelli Dardenne, Kuosmanen si dedica al suo secondo lungomentraggio. Nel 2016 gira La vera storia di Olli Mäki che lo porta alla candidatura agli Oscar come miglior film straniero nel 2017 e alla vittoria del Prix Fassbinder come miglior rivelazione all’European Film Awards. Nell’ultimo film la sua protagonista, Laura, ritrova la quotidianità nel momento in cui perde le feste e le luci di una Mosca chiusa dentro la sua telecamera. Il passaggio è analogo in Olli Mäki, dove il giovane pugile di umili origini finalmente può guadagnarsi il grande palcoscenico, sfidando il campione americano pesi piuma e diventando finalmente una celebrità di caratura internazionale. Ma in realtà l’unica cosa per cui Olli si impegna è la ricerca di una quotidianità perduta che ritroverà fra le braccia di Raija. L’amore è più importante della boxe e con il suo manager diventano figure anomale all’interno del  ring. Diventano personaggi che portano avanti una continua parodizzazione del mito macista dello sport. Allontanandosi dall’ironia, solo ed esclusivamente quando sono lontani dal ring. È la vita ad esser cosa vera, non gli show e le riprese di una videocamera che nascondono un mondo fatto di maschere e riflettori puntati.

Il vincitore del Gran Premio della giuria al Festival di Cannes, ex aequo con A Hero di Asgar Farhadi, negli anni si sta sempre più confermando come una delle voci più interessanti del cinema nordico, grazie ad un distacco ed una leggerezza che hanno padroneggiato per anni solo i grandi autori europei. Kuosmanen riesce nell’ ardua impresa di proporre un tipo di cinema che sembra anomalo in una società sempre più spinta verso la spettacolarizzazione della ripresa.

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