L’amante perduta, di Jacques Demy

Capitolo conclusivo della trilogia sui sentimenti e la solitudine, un film magnificamente decentrato che coniuga Nouvelle Vague e New Hollywood. Stanotte, ore 3.20, Rai Movie

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È uno dei film che Quentin Tarantino ha fatto vedere alla troupe prima di girare C’era una volta a…Hollywood. Gli spostamenti in macchina di Cliff Booth (Brad Pitt) sono viaggi senza meta, continue scoperte e rivelazioni come quelle di George, il protagonista di L’amante perduta che vaga per le strade di Los Angeles. Il suo rapporto con la ragazza è in crisi, deve trovare in giornata 100 dollari per pagare la rata della macchina aper evitare che gli venga sequestrata. Inoltre sta per essere chiamato alle armi, destinazione Vietnam. Quando incrocia Lola, la segue e scopre che lavora come modella in uno studio di foto pornografiche, il Model Shop del titolo originale. Insieme passeranno una notte d’amore.

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Jacques Demy in trasferta statunitense realizza il capitolo conclusivo della trilogia sui sentimenti e la solitudine iniziato con Lola, donna di vita e proseguito con Les parapluies de Cherbourg. Sulla nostalgia prevale la disillusione. Comincia con un rapporto già in crisi che riflette lo stato d’animo del protagonista, interpretato da Gary Lockwood, il Frank Poole di 2001: odissea nello spazio. Per il protagonista, la ricerca dei soldi rappresenta l’ultimo squarcio di libertà. L’ultimo giorno libero come quello di Edward Norton in La 25° ora. Non c’è il carcere ma la fine di un periodo della propria vita in cui si nasconde anche il punto terminale di un tipo cinema che Demy vorrebbe continuare a fare all’infinito ma comprende anche la sua irrealizzabilità. L’amante perduta è ancora più magnificamente decentrato, fuori tempo. Sullo sfondo c’è sempre il Vietnam: Nixon e le manifestazioni contro la guerra nelle trasmissioni radiofoniche, la foto del ragazzo morto. Davanti invece, la soggettiva del protagonista dall’auto, attraverso il quale viene ridefinito il paesaggio urbano di Los Angeles attraverso i suoi occhi.

Demy coniuga il nomadismo della Nouvelle Vague con il cinema di protesta della New Hollywood. All’epoca forse era troppo rivoluzionario per essere compreso. Oggi invece è un passaggio fondamentale non solo del cinema del regista ma anche di quello della fine degli anni ’60. Ci sarà anche una dichiarata citazione in Mad Men, quando Don Draper lo sta guardando all’inizio del terzo episodio della settima stagione.

Accompagnato dalle musiche degli Spirit (di cui si vede anche la copertina dell’album), raggiunge l’apice nella confessione di Lola prima di quell’unica, fuggevole, notte d’amore. Lei racconta a George di suo figlio, del desiderio di tornare in Francia. E qui entra in gioco il collegamento con Lola, donna di vita. Il vero nome della donna è Cécile come nel primo lungometraggio di Demy. Ha vissuto molto tempo, come lei stessa ha detto, a Nantes. E ha il volto magnetico di Anouk Aimée. Più disincantata, segnata da un amore tradito con Michel. Il tempo passato ancora una volta, non torna più. Già si vedeva in Les parapluies de Cherbourg. Il cinema di Demy idealizzare il ricordo, rendendolo migliore di quello che era. C’è ancora una corrispondenza emotiva incredibile tra la narrazione e la memoria. Qui, a cristallizzarlo, ci sono le foto di Lola. Solo così il tempo può restare.

 

Titolo originale: Model Shop
Regia: Jacques Demy
Interpreti: Gary Lockwood, Anouk Aimée, Alexandra Hay, Carol Cole, Tom Holland
Durata: 100′
Origine: USA/Francia, 1969
Genere: drammatico

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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