"L'anno mille", di Diego Febbraro

L’anno mille di Diego Febbraro è un fantasy in potenza, ma mai in atto, e finisce per diventare piuttosto uno strano crossover tra il cinema e la fiction. Purtroppo, il regista non crede mai ciecamente nella sua impresa di resuscitare un genere a dispetto delle limitazioni economiche, e lo strizzare l’occhio ad Excalibur di Boorman si rivela un grande autogol che invita ad un confronto impari.

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Se al cinema italiano si rimprovera spesso di derivare troppo dalla fiction, termine dietro al quale si identifica una contaminazione invadente dei confini fisici del piccolo schermo, L’anno mille rappresenta in qualche modo l’esempio estremo di fiction che diventa cinema: un crossover che sta ai limiti dei due linguaggi, troppo lungo e troppo strutturato per la televisione, ma anche troppo esile per le sale cinematografiche. A Diego Febbraro si può attribuire il merito di aver cercato di riesumare il fantasy – e quindi di essersi cimentato con il genere – di aver rispolverato Stelvio Cipriani, compositore legato a doppio filo alla schiera delle maestranze del cinema artigianale, ma allo stesso tempo gli si deve rimproverare anche di non aver rinunciato del tutto a pontificare sull’Italia contemporanea, dividendo il film in due piani paralleli – il passato medioevale e i giorni nostri – che si intrecciano cercando di dare un significato morale alla contemporaneità, in cui mancano gli esempi delle principesse, le gesta, le armi e gli eroi.
Perchè se si fosse limitato a dirigere un film di genere con cieca ortodossia, a Diego Febbraro e a L’anno mille si sarebbero potuti perdonare anche gli attori impegnati in recitazioni più che approssimative, la pochezza del budget, le panoramiche poco fluide e la posizione poco sicura della macchina da presa, che a volte balla persino sui piani fissi, certamente non per licenze poetiche da nouvelle vague: tutti difetti che sarebbero stati condonati in favore di una evidente voglia di fare cinema, di confrontarsi con il racconto e con le ambizioni di un racconto epico portato avanti con coraggio, a dispetto delle pesanti limitazioni.

Forse proprio perchè sarebbe stato impossibile girare tutto il film in cost
ume, tra set d’epoca, armature,

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streghe ed alchimisti, il film invece si sposta spesso a Piazza Vittorio Emanuele a Roma, in un complicato intreccio in cui i protagonisti del passato si ritrovano in ruoli aggiornati nel presente (così il perfido stregone – un Franco Oppini con lunghi capelli d’argento e lo sguardo aggrottato – diventa uno spacciatore di droga). L’espediente sarebbe anche ben giustificato: il gigantesco guardiano di un castello viene intrappolato e trasportato nel futuro proprio davanti alla Porta Magica, location di età imperiale poco sfruttata dal cinema e ormai semisepolta tra il giardino e i portici sabaudi dei palazzi circostanti. E’ purtroppo il fascino che manca, e le pretese atmosfere noir della città fanno diventare L’anno mille un fantasy in potenza ma mai in atto, non tengono il passo – già zoppicante – dell’ambientazione storica, in cui l’unica carta per cercare di creare l’atmosfera sono i Carmina Burana di Orff, tentando un richiamo con Excalibur di Boorman che si rivela il più grande degli autogol.

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Regia: Diego Febbraro
Interpreti: Giada Desideri, Franco Oppini, Marco Bovini, Edoardo Leo, Guglielmo Carbonaro
Distribuzione: Mediafilm

Durata: 97'

Origine: Italia, 2007

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