L’Avamposto, di Edoardo Morabito

Doc girato nel polmone verde del pianeta, inseguendo il sogno di Christopher Clark, l’eco-guerriero che per fronteggiare la distruzione pensa ai Pink Floyd. VENEZIA80. Giornate degli Autori

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Christopher Clark è un eco-guerriero, uno scozzese fuori dall’ordinario che nel cuore della foresta amazzonica ha creato il suo personalissimo Avamposto del progresso: un modello di società utopica (immaginando le gesta di Paolo Soleri nell’architettura) basato sull’equilibrio perfetto tra natura e tecnologia, gestito e preservato dagli abitanti della foresta. Ma la situazione peggiora di anno in anno e un nuovo grande incendio minaccia di distruggere l’Avamposto. Chris decide allora di giocare d’azzardo, opponendo alla spettacolare distruzione della foresta un evento altrettanto spettacolare: un concerto dei Pink Floyd dentro l’inferno verde, così da convincere il governo brasiliano a istituire una riserva. Edoardo Morabito, con la sua voce fuori campo che tanto richiama Franco Maresco (forse troppo…), autore con il quale collabora, sprofonda nella foresta, accompagnando il sognatore Christopher Clark, che da 25 anni ha una sola missione, far conoscere che un altro mondo è possibile. Il doc viaggia anche in Europa, tra Londra ed Edimburgo, in particolare, dando all’opera una certa frenetica palpitazione tra desiderio e speranza mai doma.

Andare molto lontano per affrontare qualcosa che invece ci è molto vicina. Nell’animismo dell’Amazzonia, tutto è vivo, tutto è animato, in una simbiosi di corpo e spirito che incanta e sconvolge. Il doc ovviamente prende ad un certo punto un’altra direzione, quella segnata dal protagonista e tralascia, o meglio, pone un dualismo schermante per non rischiare, evidentemente, di perdersi nel polmone più profondo e rigonfio del pianeta. Nella più grande biodiversità esistente, la minaccia occidentale non è mai doma. Quel rapporto di solidarietà mistica, di parentela, che noi occidentali sentiamo quando si raggiungono tali luoghi, calandosi in un universo monumentale, per dirla alla Werner Herzog, parlando di mattino della creazione, è soltanto parzialmente percepito nel doc, sicuramente carico di immagini suggestive ma che non sembra avere l’intenzione, assai complicata, a dir la verità, di interessarsi a tutti questi aspetti più propriamente spirituali e sensoriali.

Lo sguardo animistico, anche se costitutivo dell’umano, lascia il passo abbastanza presto nel doc ad uno sguardo storico, cronologico degli eventi, lasciando qua e la sprazzi di misticismo senza tempo. Auspicando “ecosofia”, quella relazione corale, plurale, in cui la vita si dispiega, Edoardo Morabito ad un certo punto, quando il sogno di quel concerto sembra svanire definitivamente, rimette in gioco la consueta contrapposizione tra progresso e profitto: è possibile soltanto farli coincidere? Per rispondere a questa domanda, quantomeno provarci, diventa imprescindibile tuffarsi, farne parte della foresta. Edoardo Morabito la naviga trai suoi corsi d’acqua che per incanto si aprono sui laghi e di notte riflettono luci e lucciole. Come in cielo così in terra.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
4 (2 voti)
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