"Le cronache di Narnia: il Leone, la Strega e l'Armadio" di Andrew Adamson

Il film-sfida di Adamson è sostanzialmente un'operazione riuscita, dove i numerosi difetti vengono compensati da una spettacolarità mai sopra le righe e da un racconto senza dubbio avvincente.

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Le cronache di Narnia costituiscono innanzitutto una riappropriazione. Con esse la Disney torna a rivendicare il suo "diritto di proprietà" sul fantastico e sul cinema per ragazzi. Diritto che era stato messo in pericolo dalla complessa trilogia del Signore degli anelli di Peter Jackson e dalla saga dell'occhialuto Harry Potter. E, cosa ancora più interessante, una vera riappropriazione non poteva che passare attraverso lo scontro frontale. Da qui la scelta di restare nel mondo della letteratura fantasy inglese. Cosa contrapporre all'immensa saga di Tolkien se non la gigantesca opera di uno dei suoi più intimi amici e compagni, il professor Clive Staples Lewis? Il Leone, la Strega e l'Armadio è, infatti, il primo capitolo, pubblicato nel 1950, di una monumentale serie di sette di volumi, in cui si narrano le affascinanti avventure del mondo fantastico di Narnia, un mondo abitato da animali parlanti e esseri mitologici, streghe, fauni, giganti e nani, centauri e driadi. E naturalmente il tutto per parlare dell'eterna lotta fra Bene e Male, in cui gli esseri umani un ruolo essenziale e salvifico. Ma non compete certo a noi mettere a confronto Tolkien e Lewis. A noi tocca parlare di film. Se mai i paragoni vanno fatti tra Adamson e Jacskon. E va detto subito che il film di Andrew "Shrek" Adamson funziona. Si parte dalla guerra nel mondo reale per parlare di un'altra guerra in un mondo fantastico, come a dirci che paradisi lontani non esistono. E tutto il racconto è un crescendo di tensione che regge bene fino alla fine. I difetti non mancano, sia chiaro. Soprattutto nei contenuti: la monodimensionalità dei personaggi, a parte quello di Edmund e del fauno Tumnus, il manicheismo semplicistico (insopportabile anche ne Il signore degli anelli, ma il fantasy è anche altro), le solite prediche su famiglia, coraggio e lealtà, una patina mielosa e moralistica che ogni buon film Disney non risparmia mai e che il testo di Lewis contribuisce ad esaltare. Epperò, nel complesso, il film convince nei toni e in molte scelte di regia. Soprattutto all'inizio. Quando la piccola Lucy (l'incantevole Georgie Hanley) entra per la prima volta nell'armadio, sembra di essere in Alice nel paese delle meraviglie.  Lo stupore e il piacere della scoperta, a cui si accompagnano, inconsapevolmente, fugaci riflessioni su realtà e finzione, racconto e incredulità, sul gioco (il nascondino) come approccio alla verità (intesa come non-nascondimento). Ma ciò che paga davvero è la scelta di non inseguire Jackson nel suo titanismo esasperato. Sarebbe stata un'impresa impossibile. Lo spettacolo qui è imponente, ma come trattenuto, mai sopra le righe, sempre funzionale alla narrazione. Adamson, allenatosi alla palestra del 3D, mostra di saper "nascondere" gli effetti digitali, dando prova di una sorta di classicismo che si contrappone alla ipertrofia barocca e visionaria di Jackson. Invece, lì dove si fa prendere la mano (la battaglia finale), cercando di inseguire il collega e connazionale, non può far altro che perdere il confronto. Tutto dipende dalla capacità di pensare (troppo) in grande: Jackson, in questo, ha pochi rivali.

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Titolo originale: The Chronicles of Narnia: the Lion, the Witch and the Wardrobe


Regia: Andrew Adamson


Interpreti: Georgie Henley, William Moseley, Skandar Keynes, Anna Popplewell, Tilda Swinton, Judy McIntosh


Distribuzione: Buena Vista International Italia 


Durata: 140'


Origine: USA/Nuova Zelanda, 2005

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