LETTE E… RIVISTE – "E' la storia che ci parla di un tempo in cui ci siamo trovati in presenza di qualcosa di forte, di uno spirito collettivo": Clint Eastwood, la guerra e gli esseri umani

"La guerra è guerra, indipendentemente dall'epoca. Il nostro paese sembrava molto più unito allora rispetto ad oggi. Spero che, attraverso questo film, il pubblico possa arrivare a conoscere quelle persone, ad avere un'idea di qual era la situazione e a che cosa quelle persone hanno dedicato la propria vita o per che cosa l'hanno perduta, donata"

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Un dramma sulla seconda guerra mondiale, epico e big-budget. Un film che gira intorno alla tragica battaglia di Iwo Jima – una delle più cruciali e sanguinose del conflitto – e al suo culmine, quello che sarebbe diventato una delle immagini più evocative della Storia: i marines che innalzano la bandiera americana sul monte Suribachi. Un momento catturato che diventa emblema di vittoria…

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Un'anomalia. Nella produzione di Clint Eastwood questo sembra Flags of our fathers. Palesemente stridente con Mystic River e Million Dollar Baby. Tratto dal romanzo di James Bradley e Ron Powers (che furono i cronisti degli eventi di Iwo Jima), doveva essere diretto da Steven Spielberg.


"Ho voluto riprendere proprio questa storia, perché non era mai stata raccontata, nonostante in essa sia stato impiegato il numero più grande di militari in tutta la storia del corpo dei marine. Quello che mi ha intrigato non è stato solo il libro, ma anche il fatto che non era realmente una storia di guerra…" Eastwood ha recitato in pochi film bellici e non aveva mai pensato di realizzare una pellicola di questo genere: "Mi ha colpito, perché si trattava piuttosto uno studio su queste persone. Sono sempre stato curioso rispetto a cose di questo genere, ad esempio rispetto a una famiglia che scopre delle cose su un parente dopo molto, molto tempo. E le persone con cui ho parlato sembrano essere in realtà quelle che meno hanno raccontato di quegli eventi, di questa battaglia e di molte altre…Voglio dire: quando senti qualcuno che sbandiera e straparla di quello che ha fatto in guerra, raccontando con orgoglio le proprie esperienze di combattimento, probabilmente era un impiegato, un dattilografo. Questo è sicuro".


Molto si è detto sui paralleli tra la seconda guerra mondiale e l'attuale situazione internazionale. Ma ad Eastwood non interessava una parabola contemporanea. "Innanzitutto, parliamo di due epoche storiche molto diverse. Quando si arrivò al punto di Pearl Harbor, capimmo – diventò tangibile il fatto che se non avessimo combattuto, probabilmente un giorno avremmo parlato un'altra lingua. In un certo senso, fu semplice. La maggior parte degli uomini e delle donne che presero parte alla guerra erano giovanissimi, sui 19 anni. Erano nati tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta. Hanno avuto presenza di spirito. E' proprio per queste ragioni che è importante raccontare di Iwo Jima: perché è la storia stessa che ci parla di un tempo in cui ci siamo trovati in presenza di qualcosa di forte, di collettivo – di quello spirito. Riguardo ad oggi, io dico: la guerra è guerra, indipendentemente dall'epoca. Se sei al fronte, ci sono sempre dei problemi seri che dovrai affrontare e per chi non si trova nella stessa situazione è difficile comprenderli, purtroppo. Il nostro paese sembrava molto più unito allora rispetto ad oggi. Perché la guerra in cui ci ritroviamo oggi – escludendo il fronte in Iraq – è un tipo diverso di guerra, completamente diverso: include l'ideologia, la religione. C'è una serie di fattori che potrebbe rendere una prossima guerra molto più complicata. Da questo punto di vista la seconda guerra mondiale è stata molto più secca, più netta".

Quello che Clint Eastwood spera per il suo film è "che attraverso di esso, il pubblico possa arrivare a conoscere queste persone, quello che hanno attraversato. Che possa avere un'idea di qual era la situazione e a che cosa queste persone hanno dedicato la propria vita o per che cosa l'hanno perduta, donata. Vorrei che la gente sapesse di più di quella che è stata definita come 'The greatest generation'. Un sacco di gente ne parla e basta. Ora è tutto diverso: i corpi militari sono composti esclusivamente di volontari. Vivere è molto più facile. Siamo molto più viziati. E ora la guerra sarebbe una specie di grosso inconveniente mentre a quell'epoca era una mera necessità ".


Ecco allora che Flags of our fathers, come molti dei film di Eastwood, unisce una importante dimensione fisica alla riflessione sull'umanità: questi due versanti sono particolarmente evidenti nell'ultima pellicola e, come spiega lo stesso regista, non è troppo complicato conciliarli. "Io penso di stare semplicemente andando avanti. Penso che maturare – un altro modo di dire invecchiare – mi abbia portato a illuminare aspetti diversi in storie diverse. Ho iniziato con film pieni di azione ma in questa fase della mia vita – ora che sto 'ritrattando' con il dietro della macchina da presa – è tempo di pensare a molte cose che sento vicine, più vicine magari di personaggi di fantasia dai quali sono stato, comunque, molto coinvolto".


Una carriera di mezzo secolo: decisamente Eastwood può permettersi di scegliere, sia davanti che dietro la macchina da presa. Non deve dimostrare nulla, né a sè né al pubblico – eppure continua a spingere in avanti sè stesso. Come girare non uno ma due film sulla stessa battaglia: Letters from Iwo Jima racconterà la prospettiva giapponese. E' questa la sfida più grande della sua carriera? E' la domanda a cui il regista scoppia a ridere…"A volte mi dico: ora mi prendo una vacanza. Non funziona mai. Giravo Mystic river e pensavo che dopo mi sarei fermato per un po'. Ma poi leggo Million dollar baby e dico 'boy, I gotta do that'. E mi infilo diritto nel progetto… Ho provato anche in precedenza ad acquistare i diritti di questo romanzo; sono corso da Spielberg… e lui ha detto: 'Perchè non lo dirigi tu?' Gli ho risposto che il libro mi era piaciuto davvero tanto. Lui non era molto soddisfatto della sceneggiatura che aveva e abbiamo cominciato praticamente da zero".


Il cinema di Eastwood: padri e figli. Ma alla domanda: Vorresti che uno dei tuoi figli si dedicasse al cinema? Il Clint ferocemente privato sorride: "No, no. Io non credo che la mia vita privata sia così interessante. E' per questo che sono diventato attore". E' quando parla della propria vita che Eastwood tira fuori la laconicità con cui molti lo definiscono. "Faccio un mestiere. Sono stato abbastanza fortunato da aver avuto la possibilità di fare un lavoro che mi piaceva e lo faccio ancora e mi piace ancora. E' ovvio che lo faccio ancora. E non credo di avere intenzione di ritirarmi. Forse sto aspettando che qualcuno pensi a ritirare me".


 


"Eastwood's war stories", di Paul Fischer – da Film Monthly, novembre 2006


 


traduzione di Annarita Guidi


 

Film Monthly è un mensile on-line di cinema. Nato otto anni fa con i contributi di tre soli giornalisti, oggi conta su una redazione di trenta professionisti; circa due anni fa, Film Monthly ha offerto un servizio di recensioni per i film indipendenti, dando così una possibilità in più soprattutto alle opere prime e ai corti. Il web magazine è centrato in particolare su recensioni di taglio analitico, dettagliato e sulle interviste. Ma nella mission di Film Monthly rientrano anche altri media, come l'home-video, la televisione e più in generale la cultura popolare – nella convinzione che il cinema contamini profondamente le altre forme d'arte e la cultura come insieme e viceversa. Commento e critica sono organizzati anche per aree tematiche, come ad esempio il noir, il cinema muto, i classici, l'horror, il cinema asiatico. 

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