LOCARNO 65 – “Magic Mike”, di Steven Soderbergh (Piazza Grande)
Soderbergh si gioca benissimo una Tampa crepuscolare e decadente, con i corpi che sembrano muoversi come continuamente sedati, sia nei tramonti in spiaggia che nelle notti di devastazione chimico-alcolica, dove una specie di malinconia calata sugli occhi e sulle inquadrature trasforma ogni apparente momento di divertimento e follia in una inedita danza macabra ballata in cerchio dal Dallas di Matthew McConaughey, il Mike di Channing Tatum, e i fratelli Adam e Brooke
'cause you're growing up in public,
They're gonna do it to you in public,
'cause you're growing up in public
with your pants down
E tre. La pornostar, la lottatrice, lo stripper: Soderbergh chiude una ideale trilogia sulle performance atletiche “estreme”, quelle in cui bisogna mettere in gioco il corpo in una continua sfida con le proprie capacità di resistenza (al contagio?). Ma anche, tre film-ritratto, in tre maniere differenti: Sasha Grey e Gina Carano in qualche modo “importate” dai rispettivi campi di provenienza e reinventate al cinema, e ora Channing Tatum che invece compie un'operazione all'indietro (come il salto mortale che fa gettandosi in acqua dal ponte all'alba di una notte di bagordi in una bella sequenza iniziale del film), tornando ai tempi in cui si esibiva come stripper e ballerino senza veli, prima che l'industria ne scoprisse i talenti.
Una sorta di prequel di Step Up insomma, in cui Soderbergh si gioca benissimo una Tampa crepuscolare e decadente, con i corpi che sembrano muoversi come continuamente sedati, sia nei tramonti in spiaggia che nelle notti di devastazione chimico-alcolica, dove una specie di malinconia calata sugli occhi e sulle inquadrature trasforma ogni apparente momento di divertimento e follia in una inedita danza macabra: e qui è centrale Matthew mcConaughey, ancora una volta stratosferico e ancora una volta prigioniero del fantasma di Killer Joe.
Dallas, il suo midnight cowboy gestore del locale per sole donne, è un nuovo personaggio sopravvissuto all'abisso, che dell'abisso ora ha indossato il volto. Ecco, Magic Mike è tutto qui, nel rapporto (anche istintivamente omoerotico) tra il Dallas di McConaughey, il Mike di Tatum, e i fratelli Adam e Brooke: lui, Alex Pettyfer, finisce trasportato da Mike nella spirale di soldi facili, droga, ed esaltazione per il proprio mestiere di dio del sesso, e ne pagherà le pesanti conseguenze; lei, Cody Horn, è al momento il prototipo migliore di questo nuovo modello femminile soderberghiano di donna tosta e risoluta, mascolina nei comportamenti quanto fragile e tenera nell'animo, sempre corrucciata e scostante ma poi capace di grandi gesti d'affetto.
Soderbergh stavolta fortunatamente fa ben poco per pasticciare il racconto di queste esistenze all'ombra di questa Florida ineditamente chiaroscurale (giusto un paio di jump cuts che paiono essergli scappati, come fosse un vizio, un tic involontario, un riflesso condizionato): bisogna forse ringraziare il peso (in tutti i sensi) di Channing Tatum in veste di produttore. Qui il giovane protagonista di 21 Jump Street e La memoria del cuore è al top del suo personaggio ritornante di giovane mentore dal grande cuore ingenuo, ed è come se non riuscisse a non sentirsi sul palco in ogni istante della sua vicenda, in ogni sequenza o situazione, quando fa gli auguri all'amico travestito da Marilyn Monroe, o quando interpreta il poliziotto violento nella scena della festa “a domicilio”. E' per questo che Soderbergh chiude allontanandosi da lui e tenendo il campo largo sull'immagine finale del film, lasciandolo finalmente in un'intimità senza le luci della ribalta, come se lo show e la magia avessero una buona volta deciso di liberare Mike, e di lasciarlo vivere in pace.
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