L’ombra del dubbio, di Alfred Hitchcock

Opera strutturale, pilastro portante per un’indagine sull’uomo e sulla colpa come componente essenziale del disagio esistenziale. Stanotte, ore 00.10, Sky Suspense

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Una dominante costante nell’opera di Alfred Hitchcock è quello del doppio. Nel suo cinema il tema diventa forma per mettere in scena il bene e il male, ma anche modo per rappresentare il conflitto della sfera interiore del personaggio sempre diviso tra propensione al bene e al male. La contemplazione di questa sua duplice natura si esprime dando vita ad una forma narcisistica, per dirla con Freud, che parrebbe costituire l’unica modalità per superare il disturbo paranoico creato dal quel conflitto. Questa lettura, ormai largamente autorizzata da una evidente portata psicoanalitica del cinema e di quello del maestro inglese in particolare – ci dedicò un intero film, Io ti salverò, alla lettura delle paure in questi precisi termini – ci induce, ancora una volta, e con maggiore convinzione, a sostenere che questa resta una delle modalità più appaganti per entrare nel suo universo narrativo. L’ombra del dubbio, uscito nel 1943, quindi in piena Seconda guerra mondiale, non fa che confermare il consolidato criterio interpretativo, sebbene con modalità proprie, non eclatanti come in altre occasioni e oltre ad avvalorare le tematiche del doppio, quale genetica origine di un male profondo, con una storia in cui il peggio è messo fuori campo, sembra piuttosto entrare in quella sfera della colpa ulteriore e della naturale contaminazione del bene quando viene a contatto con il male.
La vicenda si riassume abbastanza velocemente. Il personaggio protagonista che scopriremo chiamarsi Carlo (Joseph Cotten), nella abborracciata versione italiana che circola, Charles nell’originale, è ricercato forse dalla polizia, forse dalla malavita. Non sappiamo nulla di lui. Per sfuggire a questa caccia all’uomo si rifugia nella tranquillità domestica della famiglia della sorella, nella pacata e provinciale Santa Rosa in California. La figlia più grande della sorella è Carla (Teresa Wright), ma nel film Charlie, ad accentuare la doppiezza connaturata ai personaggi, quasi innamorata di suo zio. Ma l’ombra del sospetto che Charlie nasconda qualcosa di grave sorgerà proprio a lei, in quel gioco di rispecchiamenti del doppio che tanto piacciono ad Hitchcock. La sua indagine sarà coadiuvata dalla polizia che avrà scoperto il nascondiglio del malvivente accusato di avere assassinato tre vedove. Il film si risolverà in un finale drammatico, in cui definitivamente le due parti opposte si troveranno a scontrarsi tragicamente.
Pur con l’assenza di un particolarmente articolato plot narrativo, rispetto ad altri film del regista inglese, L’ombra del dubbio, che sembra solo sorvolare le atmosfere tipiche di altre e più classiche prove, costituisce, invece, pur sempre con la dominante presenza della duplicità di opzioni, possibilità e atteggiarsi dei comportamenti, un esercizio molto complesso di accumulo di dettagli che sembrano “di scuola” per il genere e che, nella loro disseminata presenza, attribuiscono al film quella ricchezza di letture il che ne fa un’opera importante nella filmografia dell’autore e una delle sue preferite. A tal fine basta consultare la famosa intervista rilasciata a Francois Truffaut.
Dice ad un certo punto il protagonista, durante il colloquio con il direttore della banca dove lavora il cognato: Ah… i dettagli, sono felice di avere trovato in lei un uomo che apprezza i dettagli sig. Graham, per me sono molto importanti… tutti i dettagli, tutti i piccoli dettagli. È del tutto evidente che non è Charles che parla, ma è Hitchcock che in questo film non compare secondo una sua divertente consuetudine, ma parla attraverso il suo protagonista. Charlie diventa un prolungamento della sua complessa personalità, tema questo che sarebbe affascinante potere scrutare nel profondo. In effetti Alfred Hitchcock che ci avrebbe ancora di più, in futuro, abituato ai dettagli, si avvale di una scrittura – per la quale trovò la preziosa collaborazione di Thornton Wilder, al quale restò eternamente grato tanto da inserire un omaggio esplicito all’inizio del film – piena di dettagli che sa arricchire con la sua sapiente maestria nel condurre il gioco, con la macchina da presa e con la messa in scena. Già dalla prima sequenza i segni di questa straordinaria capacità di cogliere la densità narrativa nella sintesi del dettaglio. Una panoramica sulla città, che potrebbe essere New York, apre il film che continua su un gruppo di bambini che giocano per strada per chiudere sul letto della camera dove troviamo il nostro protagonista, costituisce una sintesi, con pochi dettagli, di un’intera vicenda che vede annidarsi nella metropoli il male. Ma si prosegue per tutto il film e così il fumo nero, denso, coprente della locomotiva che arriva nella stazione di Santa Rosa e che lentamente oscura la scena nell’incombenza del male che si addensa sulla cittadina. Dettaglio è anche l’anello che lo zio regala alla nipote ed è lei stessa che scopre il dettaglio della dedica a minuscoli caratteri all’interno del gioiello. Dettaglio è lo stesso gioiello che Carla indosserà per riaffermare la colpevolezza dello zio, e così lo è il bicchiere che volontariamente Charles fa cadere sulla tavola quando il discorso va sul tema musicale della Vedova allegra che Carla non riesce a togliersi dalla testa e che la madre canticchia. Un gesto che Charles fa apparire involontario, ma costituisce invece un mezzo di distrazione da quel discorso per lui imbarazzante. È così che Hitchcock costruisce il suo film di ombre e di sospetti, attraverso l’amplificazione narrativa del dettaglio, come ha sempre fatto, come farà in seguito, ma qui, L’ombra del dubbio, oggi ci pare il film in cui questi elementi narrativi, portanti per il suo cinema, diventano sperimentazione originaria e consapevole, diventano forme indissolubili dal suo lavoro. In altre parole è il film con cui Hitchcock mette a punto le sue idee e getta le fondamenta del suo cinema a venire.
Con il suo aplomb di ambiente domestico, perfettamente americano, diventa anche un modo per prendersi gioco di quel perbenismo provinciale che accoglie il pluriomicida come un intellettuale e grande conferenziere.
Ci accorgiamo così che il cinema di Hitchcock sa conservare come ogni cosa di valore, le proprie qualità anche a distanza d’anni. L’ombra del dubbio, che potrebbe apparire come un’opera minore nella composita filmografia hitchcockiana, in effetti diventa opera strutturale, pilastro portante di quel cinema che non è sempre del delitto, che non sempre è indagine di polizia, ma anzi è indagine sull’uomo, indagine sulla sovrapposizione di personalità, discorso profondo e sfaccettato sulla colpa come componente essenziale del disagio esistenziale, sulla mutazione della personalità, sul tema sempre aperto dell’assassinio come sintomo di un disturbo della personalità e mai come devianza sociale. Per queste ragioni Hitchcock resta inimitabile e le sue storie sempre nuove e profonde anche dopo molteplici visioni, veri vasi di Pandora in cui i dettagli mai prima osservati, di volta in volta, ci saltano agli occhi rinnovando la lettura del film e facendoci scoprire nuovi approdi e nuove tracce di quell’indagine sempre aperta sull’uomo e sulle sue oscure e celate personalità.

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Titolo originale: Shadow of a Doubt
Regia: Afred Hitchcock
Interpreti: Joseph Cotten, Teresa Wright, Mac Donald Carey, Patricia Collinge, Henry Travers, Hume Cronyn, Wallace Ford
Durata: 108’
Origine: USA, 1943
Genere: Noir, thriller

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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