Lords of Chaos, di Jonas Åkerlund

Per raccontare la sanguinolenta storia dei Mayhem, Åkerlund si serve di “true and lies” tratte dai dispacci giudiziari e leggende metropolitane. Il risultato è un film irrimediabilmente “poser”

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Am I evil? Yes, I am“. Una calda notte estiva norvegese, una chiesa cristiana ancor più infocata che brucia alle sue spalle, e il compagno ventenne di bisbocce musicali che marchia insieme a lui l’epico momento che stanno vivendo cantando la fiamma morale del ritornello dell’omonimo pezzo dei Diamond Head. In quei bellissimi secondi Euronymous è davvero il dannato padre di una generazione di metallari estremi, quelli a cui nemmeno la spazzatura e la morte sembravano abbastanza oltraggiosi e dei quali egli voleva diventare signore attraverso un caos nero e assoluto. Lords of Chaos di Jonas Åkerlund è il tentativo di raccontare la giovinezza e la morte del chitarrista Øystein Aarseth co-fondatore della band black-metal Mayhem, Anticristo musicale per diletto ma che finì per essere assassinato da un vero Diavolo che, come tutti i Satana di questo mondo (e di quelli oltre), voleva superarlo in grandezza. Un biopic, insomma, che poteva situarsi al limine tra il racconto cronologico delle note follie assassine riguardanti il gruppo fautore del Norwegian Black Metal e la narrazione archetipica del Male e dei suoi eccessi esperita da ragazzi abitanti la ricca e noiosa “terra con il più alto tasso di suicidi al mondo“. Åkerlund invece sceglie subito da che parte stare, nonostante l’altisonante proclama nei titoli di testa che la sua sceneggiatura, tratta in larga parte dal controverso libro Lords of Chaos: La storia insanguinata del metal satanico scritto dal giornalista statunitense Michael Moynihan e dallo scrittore norvegese Didrik Søderlind, sia basata in egual misura su verità e bugie. L’ambiguità di fondo viene coltivata solo per farne terreno di maturazione di un materiale cronachistico già per sua stessa scelta leggenda metropolitana: il film ricorda in più sequenze la sagacia pubblicitaria di Euronymous e perfino la stessa ammissione dei Venom, suoi dichiarati ispiratori, del loro maledettismo di facciata. I due protagonisti di Lords of Chaos, Varg Vikernes ed Euronymous non sono mai archetipi della corruzione morale, nemmeno per un momento e nemmeno in potentia. A differenza nostra, il regista di Polar non usa mai maiuscole badando sempre a raccontare il preciso hic et nunc dei loro deliri amorali, a rintracciare il confuso tappeto ideologico delle loro sanguinolente aspirazioni.

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Il film li ritrae spesso come due giovani divorati da una pulsione alla distruzione dettata solo dal vuoto di esistenze incomprese e soprattutto liturgiche. Proprio come negli usi cristiani che essi abiurano attraverso il rovesciamento dei loro simboli e l’incendio dei loro templi i componenti del Black Metal Inner Circle trovano infatti la forza nella condivisione di stili musicali e modi di vestire diversi da quelli imperanti, blasfeme parodie di ciò che invece sono costretti a vivere tutti i giorni (la bianca casa del Conte e la petulante mamma di Faust). In Lords of Chaos questo doveroso inquadramento ambientale supera però presto la misura per divenire occhio moraleggiante, sberleffo fin troppo evidente alla stolidità dei ragazzi di tutto il mondo che se non arginata può portare all’omicidio degli altri e di stessi. Alla ferocia di Varg, Åkerlund risponde con altrettanta durezza facendolo interpretare dal pacioccoso Emory Cohen che con i suoi lineamenti dolci ha il compito di annullare sin da subito il fascino destabilizzante che invece l’originale continua a mantenere. Sembra proprio  che il regista, batterista per un anno dei Bathory si senta preso come parte in causa e voglia quindi saldare il conto generazionale chiudendo di fatto quella storia attraverso la propria versione audiovisiva. Che arriva persino a toccare i due atti sacrileghi per gli adepti della scena metallara: la normalizzazione sessuale del chitarrista dei Mayhem che si esplicita nel primo rapporto con Ann-Marit, personaggio inventato dalla sceneggiatura, svolto con tenerezza poser e soprattutto il taglio dei capelli di Euronymous. Come se la redenzione del personaggio passasse da questa tribale contrizione, da un atto di sottomissione alla società che si voleva ingenuamente sovvertire e che invece, bontà sua, consente anche la diffusione di riff pesantissimi e depressivi. L’abiura finale del calligrafismo spesso ricercato (la sequenza del suicidio di Dead e l’assassinio di Faust) ricordano ancora una volta come verità e bugie siano nient’altro che mezzi per l’espressione di una tesi musicale e cinematografica troppo lontana e troppo vicina per dirci qualcosa di nuovo su fatti che avrebbero meritato miglior trattazione.

 

Titolo originale: id.
Regia: Jonas Åkerlund
Interpreti: Rory Culkin, Emory Cohen, Anthony De La Torre, Sky Ferreira, Jack Kilmer, Valter Skarsgård
Durata: 112′
Origine: Gran Bretagna/Svezia, 2018

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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