Mandibules, di Quentin Dupieux

Quentin Dupieux fuori concorso al Festival di Venezia un film sull’amicizia, divertente e assurdo, la prima fase di un passaggio dalla commedia della morte alla commedia della vita.

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Con Mandibules, presentato a Venezia Fuori Concorso, Quentin Dupieux parla di una svolta nel suo cinema. Fatto finora di humor nero, ossessioni personali, personaggi sconclusionati ed una forte componente mortifera. Principalmente delle commedie della morte, dalle quali vuole definitivamente distanziarsi, parole sue, per passare a quelle della vita.
La storia racconta di due amici Jean-Gab e Manu, interpretati da David Marsais e Grégoire Ludig, che scoprono una mosca gigante nel bagagliaio di un auto rubata e decidono di addomesticarla per ricavarne del denaro. Il tono è spumeggiante, ed il non sense diventa un espediente narrativo efficace grazie ad un cast di attori tutti dotati di una gestualità ed una mimica molto convincente. Restano naturalmente dei comportamenti ai limiti dell’assurdo, dentro una trama essenziale e estremamente lineare. Il grottesco quasi scompare in direzione di una maggiore comprensibilità del linguaggio filmico, Gli ingredienti sono il lascito ereditario di una struttura comica consolidata fatta di equivoci e scambi di persona ed ancora, roulotte incendiate, dentiere di diamanti, vecchie berline tedesche, urla e missioni segrete.
Poche esilaranti svolte, in funzione del tema principale, l’amicizia, con i due protagonisti complici ed affiatati, ed il loro modo di comunicare emozioni e sentimenti attraverso una sola parola, Toro, cui si accompagna un semplicissimo incrocio delle mani impostate nel segno delle corna.
I piani strampalati, boicottati continuamente dalla realtà, restituiscono un quadro tutto sommato plausibile. Le ambizioni di ricchezza estemporanee aprono invece una discussione dal carattere indubbiamente politico, soprattutto quando mostra Jean-Gab costretto a dormire in riva al mare per la mancanza di un tetto. Un evento ritornante quello di dormire all’aperto, e vicino all’acqua, forse la presa d’atto della mancanza di una via d’uscita. O quando, approfittando dell’occasione, i due amici si fanno passare per qualcun altro, rimediando un alloggio e del cibo, a spese di un amore perso nei ricordi dell’adolescenza. Come altrettanto significativo è il modo di trattare il personaggio di Agèes (Adèle Exarchopoulos), affetta da un disturbo che la costringe, per emettere la propria voce, ad urlare. L’unica a nutrire un sospetto sulla vera identità degli ospiti, sui loro modi di fare strani, salvo venire presa per pazza per aver osato rivelare la verità, in un evidente caso di discriminazione verso una portatrice di handicap. L’atteggiamento canzonatorio riesce comunque a stemperare le tragedie umane.Mr Oizo, pseudonimo artistico di Quentin Dupieux, scrive con Mandibules una commedia dai tratti leggeri dotata di straordinaria profondità, conclusa a lieto fine, deride la morale bigotta piccolo borghese e sembra allontanarsi apparentemente dal cinema privo di senso, espressamente dichiarato in Rubber e marchio di fabbrica della ditta (ancora nel film immediatamente precedente, Doppia pelle), pieno di metafore e simbolismi. Un oggetto oscuro, abbandonato a favore di un sorriso, una speranza. Ma scavando a fondo, privo di logica adesso è il mondo stesso, ed i personaggi della vicenda solo soldatini di un gioco più grande, spintonati da un destino ineluttabile.
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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