MANGA/ANIME – Devilman, la serie tv
Yamato Video recupera la prima collaborazione fra Go Nagai e la Toei Animation, che si pone al crocevia fra l'horror-fantasy nipponico e il nascente filone dei robot giganti: un'opera spesso trattata con freddezza, nel confronto stringente con la più matura controparte cartacea
Si parte dunque da qui, da una rielaborazione di quella storia, che genera un interessante ibrido fra i moduli narrativi della Toei e le strategie visive e il gioco sregolato dei toni caro a Nagai: il risultato è Devilman (1972), un sostanziale remake in chiave horror de L'Uomo Tigre, con un demone inviato fra gli uomini per spargere il Caos, salvo poi cambiare versante schierandosi contro la sua stirpe. Dopo essersi impadronito del corpo del giovane Akira Fudo, infatti, Devilman conosce l'amore per la giovane Miki Makimura e tradisce il suo sovrano Zenon, affrontando così i nemici che di volta in volta il re demone gli invia contro. Zenon riprende graficamente proprio Mao Dante, mentre Devilman ha un aspetto a metà fra il supereroe all'occidentale e il lottatore di wrestling (sport molto amato da Nagai), con tanto di colpi urlati ad ogni attacco. A questo va aggiunta la statura gigantesca dei demoni, mutuata, ancora una volta, dal kaiju eiga, tanto che nell'ultimo episodio fa capolino il ruggito di Godzilla. Supereroi, scontri con tecniche urlate e protagonisti giganti: è evidente, insomma, come il frutto di questa sinergia contenga in sé già tutte le caratteristiche che da lì a poco faranno la fortuna di Mazinga Z e dei più celebri epigoni robotici.
In effetti, ciò che più interessa in Devilman è la capacità ibrida di riverberare tanto il già fatto, quanto di aprire strade nuove, ponendosi come autentico modello e matrice delle narrazioni seriali del decennio a venire, basate sulla formula iterativa del nemico da sconfiggere a ogni puntata. Il racconto è sostanzialmente divisibile in tre parti, riconducibili ai tre comandanti che coordinano le azioni dei demoni (Zannin, Muzan e Reicock). La prima parte è la migliore, per i toni cupi e maggiormente virati sull'horror, che recuperano la cifra psichedelica e allucinata dei kaidan eiga (i film di fantasmi giapponesi) resi celebri da registi come Nobuo Nakagawa (si pensi al finale di Jigoku, del 1960). L'eleganza dei disegni di Kazuo Komatsubara (character design della serie) e la forza espressiva dei colori, tipica delle opere Toei, crea un curioso e dinamico contrappunto rispetto a questa cifra più "oscura", esaltando l'autentica natura mutante della serie: ne viene fuori un'opera in perenne oscillazione fra un'estetica cool di grande modernità visiva e una certa asprezza, garantita dal genere di riferimento.
Non sembra estranea nemmeno l'influenza di un'altra importante serie animata come Bem, il mostro umano, da cui Devilman riprende alcuni motivi quali i manichini viventi o le coreografie scheletriche, insieme all'amore per i ritmi musicali ipnotici e ossessivi: ma su questo modello si innestano i temi della mutazione cari al visionario Nagai, che nelle sue opere ha spesso insistito sulla deformazione espressionista dei corpi, aprendo la strada alle derive del filone splatter. Una simile modernità dei toni anticipa e accompagna certi temi del new horror occidentale, che negli stessi anni muove i primi passi, e trova poi una più ampia trattazione nella versione manga, che Nagai porta avanti nel medesimo periodo in modo indipendente, con una narrazione più articolata, matura e pessimista.
Nella seconda e nella terza parte, la serie ripiega invece su toni più leggeri e comici, concedendo grande spazio a comprimari come Tare, il fratellino fifone (e incontinente) di Miki o il buffo professor Alphonse (che spasima proprio per Miki), in cui possiamo vedere trasfigurati i temi satirici di “Harenchi Gakuen”. Il carattere stesso di Devilman/Akira si ammorbidisce: all'inizio il suo ritratto è quello di un violento attaccabrighe, innamorato di Miki, ma del tutto refrattario a creare legami con gli altri umani, tanto che nell'episodio 11 arriva quasi a uccidere per sbaglio il padre della ragazza, senza che la cosa gli crei particolari rimorsi. Con il tempo, invece, l'aura di antieroe si smorza, per renderlo un sincero paladino della giustizia, sottolineando il valore della sua scelta fra il Bene e il Male (tema sempre centrale nelle opere di Nagai). Resta comunque forte il piacere della sperimentazione, attraverso nemici sempre più improbabili, che nei casi più virtuosi offrono linfa alla vena satirica cara all'autore, e trasfigurano così le debolezze e le contraddizioni della società giapponese: nell'episodio 30, ad esempio, il demone Faizel fa venir meno i freni inibitori della gente, demolendo il sistema di regole su cui si basa la convivenza civica. La narrazione gioca poi con i vari livelli espressivi, lasciando che i personaggi si rivolgano direttamente allo spettatore: nell'episodio 22 compare anche l'esercito di autodifesa giapponese, che scambia i demoni per mostri di un kaiju eiga, rendendo sfacciato l'omaggio e il gioco delle citazioni (e delle relative prese in giro).
A fronte di una scarsa coesione narrativa e di una animazione fin troppo altalenante – che, soprattutto negli episodi centrali, scende di parecchio sotto il livello di guardia, con sequenze di mediocre fattura e movimenti troppo rigidi – resta l'interesse per una serie più libera di molte altre a seguire, capace di passare senza soluzione di continuità dalla comicità al sangue esibito, fino a un finale genialmente aperto, ma capace comunque di chiudere il cerchio dell'evoluzione che ha accompagnato il personaggio di Akira/Devilman lungo il suo intero percorso fra gli umani.
IL DVD
Chiunque conosca la serie ha poi presente il problema insito nel doppiaggio nostrano, curato con estrema approssimazione dalla famigerata Oceania Film, che ha affidato l'intera narrazione a tre soli doppiatori, in una fiera abbastanza stucchevole di falsetti e camuffamenti della voce per differenziare i vari personaggi. Per venire incontro alle esigenze degli appassionati è stato così approntato uno stream di sottotitoli basati su una nuova e più precisa traduzione dei dialoghi, in modo da contenere i costi e offrire comunque un prodotto il più completo possibile. La traduzione – curata da Enrico Croce con la supervisione del gruppo Obiettivo Anime – è ottima e scorrevole, distante dalle involuzioni grammaticali così in voga nell'era del purismo esasperato e permette di fruire la narrazione al meglio. Un'ottima mossa per un'edizione che si staglia fra le migliori dell'editore milanese: il cofanetto è a tiratura limitata e numerata ed è acquistabile unicamente dal sito della Yamato Video.