Marlina. Omicida in quattro atti, di Mouly Surya

Un western indonesiano, un dramma di genere, con accentuate sfumature tarantiniane che diventa singolare riflessione sulla condizione femminile. Dalla Quinzaine di #Cannes2017

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Se c’è qualcosa che non ti aspetti guardando Marlina, omicida in quattro atti, è che un film indonesiano ti trasporti, senza quasi fartene accorgere, in un’atmosfera del tutto estranea a quella che sarebbe consueto attendersi. Mouly Surya, classe 1980, è qui al suo terzo lungometraggio e il suo anomalo film è stato selezionato lo scorso anno alla Quinzaine des Réalisateurs al festival di Cannes.
Un western indonesiano, un dramma di genere, con accentuate sfumature tarantiniane lo astraggono da qualsiasi tradizione cinematografica dei luoghi aprendo orizzonti insospettabili e confermando l’assoluta adattabilità dei generi. Surya ci insegna che il genere può smettere di diventare esclusivo strumento o pezzo di cultura riservato, per trasformarsi in linguaggio universale e traduzione di una condizione dellaMarlina, omicida in quattro atti, 2017 vita declinata da un radicamento culturale di volta in volta variabile.
Marlina è una vedova e non ha i soldi per seppellire il marito secondo le usanze. Un giorno un uomo si presenta da lei annunciando l’arrivo di altri suoi amici, ma le annuncia anche che le ruberanno il bestiame e i soldi e che infine la violenteranno. Marlina è costretta a preparare la cena ai suoi aggressori, ma medita la vendetta. Il viaggio alla ricerca di giustizia, durante il quale incontrerà Novi che da li a poco dovrà partorire, le svelerà che il mondo sembra essere dominato soltanto dalla violenza.
Il racconto segnato dai caratteri esteriori del cinema western, con tanto di inseguimento, secondo la migliore tradizione, si colora di una forte solidarietà femminile che si manifesta nella vendicativa violenza con la quale Marlina e Novi sono costrette a rispondere alla tracontante brutalità maschile. Marlina è un film che nel suo essere immerso in un universo dominato dal genere maschile e che trova sviluppo all’interno di precise dinamiche spettacolari proprie di un genere cinematografico che, per antonomasia, appartiene allo spettatore adulto e maschio, costituisce una specie

Marlina, omicida in quattro atti, Suryadi piccola perla rara quanto meno per il coraggio della regista di dominare una materia di per se così autorialmente segnata da un glorioso passato per lei lontano nel tempo e nello spazio e per di più estraneo ad alcuna tradizione femminile.
Marlina è un film che però si tinge di altre sfumature e la dove la violenza esplicita diventa legge condivisa nell’ambiente e motivo di ironica rivalsa, diventa anche strumento al femminile per rivendicare diritti negati. In altre parole Marlina si fa riflessione singolare sulla condizione femminile in perenne debito di libertà e di rispetto. Marlina non fa riprendersi ciò che è suo, difendendo la propria vita.
Mouly Surya non si lascia sfuggire di mano il film e non drammatizza troppo, il suo intento sembra essere quello di mettere in scena una storia di vendetta, un western che utilizza registri alterati pur all’interno di una narrazione sempre rispettosa dei canoni. In Marlina, omicida in quattro atti_4questa ricerca di equilibrio narrativo uno dei pregi del film sta proprio in quella lontana dissonanza che esiste tra drammaticità del racconto e un tono generale, mai autenticamente dramm atico in cui il film è immerso.
Da una parte abbiamo teste mozzate e trasportate in una cassetta di legno come un prezioso soprammobile, in quel richiamato stile tarantiniano, ma dall’altra appare a Marlina la compagnia rispettosa dello spettro del decapitato che suona la chitarra. Surya ci ricorda che siamo al cinema, là dove ogni cosa può accadere e in questa specie di anima segreta che aleggia su tutto il film condizionandolo positivamente, la visione si alleggerisce e il peso di ogni dramma sembra quasi consumarsi.
La regista indonesiana sa benissimo lavorare su questi profili, solo apparentemente marginali e in questa stessa ottica notevole è il lavoro che fa sul paesaggio in cui immerge Marlina, omicida in quattro atti_3il suo racconto. Gli scenari del film nascono da una corretta metabolizzazione di quelli archetipici del western americano. Un paesaggio apparentemente privo di riferimenti, perfino labirintico, nella sua unica distensione, disanimante nella sua immensità tra cielo e terra che sembrano sovrastare ogni storia e contribuire allo smarrimento di Marlina nel suo vagare.
Mouly Surya ha le idee chiare e il suo film porta a compimento una doppia operazione, la prima più evidente è quella di mettere in scena una storia tutta al femminile (compresa lei stessa) utilizzando canoni non direttamente attinti dalla sua cultura d’origine, riuscendo a trovare la giusta chiave narrativa ed espressiva per un Marlina, omicida in quattro atti_2racconto prettamente di genere che trasforma, via via, il suo senso profondo in altra e più domestica materia. La seconda, nasce proprio da questa sottile metamorfosi del senso del racconto che porta a compimento mascherandone il senso vero dentro quel canovaccio western per concedersi una libertà narrativa che diventa necessaria per affrontare il tema sociale della condizione femminile, astraendo la riflessione da ogni fastidiosa contingenza del presente. Tutto il film è assolutamente centrato su questa prospettiva e Marlina diventa una eroina consapevole di una solitaria e piccola, ma epica rivoluzione culturale, una Penelope che non ha bisogno d’Ulisse per sconfiggere i brutali Proci in una terra distante da ogni approdo, dove non sono le pistole a dettare la legge, ma la volontà ferrea, determinata e anche spietata di questa solitaria protagonista.

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Titolo originale: Marlina si pembunuh dalam empat babak
Regia: Mouly Surya
Interpreti: Marsha Timothy, Dea Panendra, Egi Fedly, Yoga Pratama
Origine: Indonesia, Francia, Malesia, Tailandia, 2017
Distribuzione: Lab 80 film
Durata: 93′

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