Niente da perdere, di Delphine Deloget

Virginie Efira si conferma nei panni di una madre in lotta contro i paradossi delle istituzioni in un film preciso e capace di prendere posizione. Dai Rendez-vous Nuovo Cinema Francese a Roma

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“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. poiché senza che avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestato”. Così recita il celeberrimo incipit de Il processo di Franz Kafka, capace di creare una nuova categoria di narrazioni, in cui l’istituzione si comporta in un modo facilmente riconoscibile come illogico, ma che grottescamente viene accettato come status quo, con personaggi che si scontrano inevitabilmente con tali paradossi. È il caso anche di Sylvie, protagonista di Niente da perdere di Delphine Deloget, presentato alla 76ª edizione del Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard e ora a Roma nel programma dei Rendez-vous del Nuovo Cinema Francese al Nuovo Sacher.

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Sylvie è una madre single che, a causa di un incidente domestico avvenuto mentre si trovava a lavoro, si vede privata della custodia del figlio minore Sofiane. Inizia quindi una battaglia personale contro il sistema giudiziario e i servizi sociali.

Delphine Deloget (qui al suo lungometraggio d’esordio alla regia) è molto precisa nel creare il ritratto di una madre felice di quello che ha, dignitosa nonostante le difficoltà della vita, che ottiene i favori del pubblico senza risultare subliminalmente pietosa. Ad indossarne i panni è una strepitosa Virginie Efira, che conferma (qualora ce ne fosse ancora bisogno) di essere una delle più interessanti attrici del panorama francese contemporaneo. Con il procedere del film e quindi della battaglia di Sylvie contro le istituzioni, questa compie dei gesti incauti, considerati inaccettabili dalla società che la osserva. Lo spettatore è chiamato quindi ad interrogarsi sulla natura del personaggio: si tratta di gesti soliti per la protagonista e che quindi in qualche modo giustificano ciò che le sta capitando, oppure sono reazioni indotte dal sistema contro il quale sta lottando? Quanto quindi c’è di naturale nel comportamento di Sylvie, o – ecco il meccanismo kafkiano – è la società ad imporle di accettare una condizione paradossale e ad assegnarle un ruolo a cui non può sottrarsi?

Ottima anche la prova di Félix Lefebvre (già protagonista di Estate ‘85), che interpreta Jean-Jacques, fratello maggiore di Sofiane, adolescente chiamato ad occuparsi della situazione come fosse un adulto, in continuo contrasto però con la necessità di affermare la propria identità senza essere schiacciato da uno scenario più grande di lui.

Il più grande merito che va riconosciuto a Niente da perdere risiede però nel suo finale. In un cinema che sempre più spesso fatica a schierarsi con i propri protagonisti nascondendosi dietro alla comodità del “finale aperto”, lasciando che sia lo spettatore ad assumersi delle successive responsabilità e ad immaginare quindi le conclusioni al posto di chi scrive il film, Delphine Deloget dimostra di sapere chiaramente da che parte sta. Sblocca quindi l’impasse con una scelta che magari non risulta definitiva e che può essere distante da quella che farebbe lo spettatore, ma esplicita così con forza la propria posizione d’Autore.

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