Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, di Philipp Kadelbach
Le interviste di Christiane F., che si trasformarono in un libro (1978) e poi in un film (1981), ora diventano serie tv, in una versione approfondita e corale ma indefinita e confusa
A più di quarant’anni dall’uscita del libro e del film, la storia di Christiane F. torna sullo schermo in una nuova forma: quella della serie televisiva. Di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino rimase impressa la visione fredda e asettica, quasi documentaristica, del film di Uli Edel, che rese sottile il confine tra realtà e finzione – gli attori protagonisti erano realmente dei ragazzini – nel suo raccontare del crudo calvario della tossicodipendenza, e soprattutto della tossicodipendenza a quattordici anni, la quale negli anni ’70 sconvolse non solo Berlino ma l’intera Europa. In questa nuova versione permangono fedelmente le ambientazioni notturne, ma svaniscono gli interni squallidi e claustrofobici, ben sentiti nell’opera degli anni ’80, sostituiti da interni slealmente ripuliti e da riproposti spazi aperti.
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: con Amazon Prime Video la storia di Christiane F. viene suddivisa in otto episodi, in cui, grazie al format e alle possibilità infinite date dall’evoluzione episodica, quel “Noi” assume un significato sempre più ampio. Non viene seguito da vicino soltanto il punto di vista della protagonista, ma ci si avvicina al character di ogni membro della combriccola. Questo porta a una nuova visione, più completa e approfondita, di ciascuno degli eventi che ha determinato quell’esperienza.
Axel, Benno, Stella, Babsi e Michi entrano nel focus, mettendo così l’accento sulla loro esistenza, che invece nel film sbiadiva, perdendosi nello sguardo voyeuristico su Christiane.
Il gruppo di amici (quello del Bahnhof Zoo, l’iconica stazione della metro della Berlino Ovest, all’epoca postazione che connetteva al degrado sociale per il suo ospitare tutte le figure più problematiche) si crea e disfa nel momento stesso in cui diventano dipendenti dall’eroina. Quest’abitudine si paga a caro prezzo, non solo rischiando la vita, ma – come anche per la prostituzione – ampliando continuamente e meccanicamente un vortice da cui per molti è impossibile uscire.
Berlino Ovest. Christiane sta per iniziare l’anno in una nuova scuola e si percepisce il suo disagio, anche se non lo si comprende fino in fondo. Abbattuta per la sua situazione familiare difficile, con una figura paterna instabile e violenta e quella materna “lontana”, cerca di integrarsi dapprima con i nuovi amici della scuola e dappoi con quelli che conoscerà al Sound, un locale che fa da punto di riferimento per i giovani. Con loro scopre le serate a base di eroina, che non riesce a evitare, al punto da finire nel giro della prostituzione pur di mantenere la sua dipendenza. Conscia della gravità della situazione, che uccide quegli stessi amici per cui aveva iniziato, prova più volte a ripulirsi, vivendo un’estenuante rapporto con l’eroina che segnerà per sempre la sua esistenza.
Questa nuova versione di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino riesce a essere più completa del film nell’esposizione degli eventi così come dei sentimenti. Al tempo stesso, però, si rivela alquanto confusa sulla posizione storica-temporale: possono essere gli anni ’70 ma anche non esserlo. E poco chiara sul piano culturale-politico (non ci sono riferimenti al muro e alla Berlino Est), dunque abbastanza approssimativa rispetto al libro autobiografico. Il suo tono volutamente pop e il suo approccio fintamente moderno oscurano l’ambientazione, collocando le vicende in un’epoca che non esiste; tranne per il fatto che dopo un po’ di tempo si nota l’assenza di cellulari e social network, dettaglio che fa ricordare al grande pubblico di non star assistendo alla contemporaneità.
Christiane F. diventa così il fantasma della nuova Zendaya, con richiami estetici e pop che conducono a Euphoria. Vi sono rivisitazioni più fashion dei vestiti, dell’iconico locale Sound e dell’importante colonna sonora di David Bowie, che è stata ri-arrangiata – Bowie che ha un ruolo fondamentale nel libro di Christiane e per il periodo che la serie dovrebbe raccontare.
Indispensabile il collocamento dell’opera soprattutto per la tematica più importante, per l’appunto, l’eroina tra i giovani di tredici, quattordici e quindici anni, che venivano trascinati dal vortice “dell’ero” per scelta, per bisogno d’integrarsi e sentirsi vivi, per l’abbandono sociale da parte di una Berlino divisa in due. Nella nuova visione “esteticamente ripulita”, però, quei ragazzi non sembrano più quattordicenni, ma adulti; differenza ancor più evidente se si confronta questa rivisitazione al film di Edel. L’astenersi dal rappresentare in tutto e per tutto la giovanissima età dei protagonisti porta a far smarrire il senso della storia, privando di forza narrativa ciò che voleva raccontare.
Diventano così un qualsiasi gruppo di adolescenti insoddisfatti dalla vita, con sulle spalle una situazione appesantita da tematiche oggi molto esposte quali la posizione sociale-psicologica dei giovani sempre più soli, la violenza domestica e l’abuso, senza mai fare riferimenti al perché ci fosse una richiesta tanto forte di eroina tra gli adolescenti dell’epoca. Adolescenti incompresi e genitori assenti in una Berlino ovest accesa, brillante, vivida… e glamour. Scelte forse necessarie per attirare un pubblico giovanile contemporaneo, ma a spese della stessa serie, che diventa piatta e molto meno sconvolgente dei due predecessori: libro e film. Soprattutto, ci rimette l’intera tematica inerente al contesto storico in cui si sarebbe dovuta ambientare l’opera.
Se negli anni ‘80 il film di Udi Edel era chiacchierato e persino usato nelle scuole con lo scopo di mostrare i lati più oscuri della tossicodipendenza, con tanto di reazioni di disgusto e vergogna, ora sopraggiunge un effetto quasi contrario: si ha un mondo fin troppo pulito, poco claustrofobico, in cui la dipendenza ha la forma di luci al neon e di bagni pubblici fin troppo a norma per incutere timore, dove il trucco é sempre impeccabile e i vestiti sono alla moda. “Una spettacolarizzazione del bucarsi” che, pur non nascondendone la brutalità, addolcisce, accompagnandola di strass e piume colorate e, soprattutto, con l’’esternazione di un rapporto di amicizia romantico e nostalgico, in cui questo gruppo di amici sembra essere unito da un rapporto indissolubile – quando si sa che quasi sempre gli amori nati sotto l’uso di droghe sono amori fittizi, poiché chi vive nella tossicodipendenza non può pensare che a sé stesso.
Manca persino la crudezza nella rappresentazione della morte, pensando alla brutale messa in scena della triste fine di Axel nella prima trasposizione, seppur in quest’ultima sia più sentita emotivamente grazie al legame stretto creatosi con il personaggio. Perciò il risultato seriale é diverso e molto distante dalla prima esperienza visiva, sebbene con i suoi punti forti, seppur dovuti esclusivamente alla nuova modalità di racconto.
Una serie che va ad ampliare e riadattare ai tempi odierni ma che non segnerà mai l’immaginario e mai l’epoca, come ha fatto il film negli anni ‘80, o come ha fatto oggi, appunto, Euphoria, trattando di droghe e dipendenze più consone al periodo moderno che racconta. Il degrado sociale che ha caratterizzato la vita di Christiane e segnato due generazioni qua viene dimenticato non appena l’opera raggiunge la sua conclusione.
Le peculiarità principali dell’epoca che il libro autobiografico metteva in luce, meritavano comunque di essere rese chiare e non lasciate indietro insieme all’interiorità di Christiane, con tutte le sue riflessioni critiche sulla società e sulla stessa “cultura dell’ero”, che qui cadono in azioni confuse. E poiché la serie non è limitata da tempo e spazio, in otto episodi non basta mostrare il continuo drogarsi nei bagni per tratteggiare il ritratto di una generazione distrutta dall’eroina e che ha influenzato (ma anche salvato) quelle successive.
Titolo originale: We Children from Bahnhof Zoo
Regia: Philipp Kadelbach
Interpreti: Jana McKinnon, Michelangelo Fortuzzi, Lena Urzendowsky, Joachim Foerster, Bernd Hölscher Sebastian Urzendowsky, Nik Xhelilaj.
Origine: Repubblica ceca, Germania, 2021
Distribuzione: Amazon Prime Video
Durata: 8 episodi (50’ circa)
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani
A me questa serie tv è piaciuta tanto e la preferisco di gran lunga al film. È molto educativa e dovrebbero vederla anche gli adolescenti, non capisco perché sia vietata fino ai 18 anni. I ragazzi approcciano presto alle droghe e anche se è una serie cruda secondo me avrebbe effetti positivi sui giovani.