O Ano da morte de Ricardo Reis, di João Botelho

Vincitore della 43esima dell’Efebo d’Oro, l’opera di Joao Botelho è una trasposizione dell’omonimo libro di Josè Saramago. Ecco anche gli altri premi dell’edizione 2021 del festival palermitano

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“Il corpo, di per sé, potendolo, evita i fastidi, per questo dormiamo alla vigilia della battaglia o dell’esecuzione, per questo, infine, moriamo, quando non riusciamo più a sopportare la luce violenta della vita.” Jose Saramago

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José Saramago incontra nella finzione letteraria Fernando Pessoa. E immagina che uno dei suo eteronimi Ricardo Reis, sopravviva ancora per nove mesi dopo la morte dello scrittore che lo ha creato. João Botelho adatta il libro di Saramago cercando di mescolare la finzione poetica con la storia politica del Portogallo. Il 1936 è un anno cruciale perché inizia la guerra civile spagnola e il dittatore portoghese Salazar, in carica dal 1932, segretamente appoggia i miliziani di Francisco Franco. Ricardo Reis, medico monarchico e conservatore, fugge dalle rivoluzioni (prima da quella fascista nel Portogallo del 1932 e poi da quella bolscevica nel Brasile del 1935) e intanto si innamora di due donne diametralmente opposte: la devota cameriera Linda (Cararina Wallestein) e la nevrotica Marcenda (Victoria Guerra). Nel frattempo ha continui incontri con il fantasma di Fernando Pessoa (Luis Lima Barreto) che gli fa da consigliere spirituale ma anche da specchio esistenziale.

João Botelho racconta questa storia di meta-letteratura utilizzando un linguaggio cinematografico onirico: un bianco e nero spettrale, molte dissolvenze e trasparenze, visioni inframezzate da frammenti di sogni, inquadrature oblique con punti di vista non convenzionali. Immerge Lisbona in una pioggia perenne e fa muovere i suoi personaggi come anime in pena, in un purgatorio infinito. La condizione esistenziale di Ricardo Reis è quella di un “uomo duplicato” che è in fuga da sé stesso, che ha paura di scegliere una strada per tenere aperte tutte le altre. Gli incontri con il fantasma di Pessoa lo riportano all’essenza della sua artificiosità letteraria: in quanto personaggio di finzione non ha più una sua identità. Ricardo Reis è finzione di sé stesso e finge sia come poeta che come uomo. Le sue indecisioni sentimentali diventano ambivalenze politiche, la sua inazione politica riflette la vigliaccheria nei rapporti con le donne. Ricardo Reis fa anche fatica a stare con sé stesso: come gli ricorda il suo mentore Pessoa “ …la solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice…”.

Ci sono momenti davvero intensi durante la narrazione: l’incontro con le due donne fatto di sguardi e piccoli movimenti conflittuali di attrazione/repulsione, la scena dell’attesa del miracolo di Fatima (che ricorda tantissimo la attesa della Madonna ne La Dolce Vita) e la grande assemblea fascista che inneggia a Salazar con Reis che fugge sconvolto in preda al panico. Pessoa ricorda a Reis che in fondo la scelta di diventare ombra significa non sopportare la luce violenta della vita. Joao Botelho conduce l’opera tra elementi storici e visionari e riesce per la maggior parte del tempo a tenere saldo il timone della narrazione. Si possono rimproverare solo due cose: una certa lunghezza nei dialoghi spesso densi di molteplici riferimenti letterari, e un finale colorato troppo speranzoso che forse non appartiene né a Saramago, né a Pessoa.

O Ano da morte de Ricardo Reis è una convincente trasposizione del libro di Jose Saramago che regala immagini potenti e riferimenti politici alle vicende dell’Europa nel nefasto periodo pre seconda guerra mondiale. La scelta di non scegliere diventa una responsabilità civile in un mondo di nazionalismi che si sta tuffando dentro la violenza e il genocidio. Se il poeta è un fingitore, l’uomo pubblico deve abbandonare l’inazione e cominciare a lottare.

La giuria presieduta da Egle Palazzolo (presidente del Centro di Ricerca per la Narrativa e il Cinema), Roberto Escobar (critico cinematografico), Frédéric Farrucci (regista), Olivia Magnani (attrice) e Leena Pasanen (direttrice Biografilm Festival), ha consegnato l’Efebo d’Oro per il miglior film tratto da un’opera letteraria proprio al film di João Botelho con la seguente motivazione: “A João Botelho perchè oggi più che mai è ricca e significativa la sua scrittura cinematografica nella quale si ripropone una militanza politica divenuta chiara forza di ispirazione e di suggestivo impegno. Con O ano da morte de Ricardo Reis tratto con sapienza e coraggio da un’opera di José Saramago, questo straordinario regista portoghese ci consegna a sua volta in linea, ma allo stesso tempo autonomamente, un’opera reale e poetica nella quale anche il prescelto bianco e nero sino al colore della parte finale del film divengono poesia e esaltano l’alternanza di pioggia e luci ,quello della realtà di speranze tradite e di sogni divenuti impossibili. Ma lasciano tuttavia la sottile speranza che la morte non sia simbolo di sconfitta ma possa divenire simbolo perenne di grandi resistenze e risorse dell’uomo. E certamente dell’artista e dell’arte”.

L’Efebo d’oro Nuovi linguaggi – Città di Palermo è stato assegnato a Constanze Ruhm, filmmaker, regista, artista, autrice e curatrice austriaca, i cui lavori investigano la connessione tra cinema, nuovi media e archivi, focalizzandosi sulla rappresentazione in relazione alla storiografia femminista. Questa la motivazione del premio: “Per la capacità di rivisitare la storia del cinema e dei movimenti politico-culturali instaurando un rapporto inedito con i materiali d’archivio; attraversando un processo creativo che fa emergere in filigrana una controstoria, che dà voce alla marginalità, alle dinamiche latenti dell’immagine filmica, allo sguardo femminile spesso invisibile”.
La giuria dell’Efebo Prospettive per opere prime o seconde, composta da Doriana Leondeff (sceneggiatrice), Maryam Goormaghtigh (regista) e Francesco Calogero (regista), ha premiato Bait (UK, 2019) di Mark Jenkin per “la forza narrative e le potenti ambientazioni che, attraverso un sorprendente bianco e nero, evocano una storia profondamente radicata nel presente. I personaggi sono caratterizzati con profondità umana e ottimamente supportati dalle performance degli attori”. La stessa giuria ha attribuito una menzione speciale a Sous le ciel d’Alice (Francia, 2021) di Chloé Mazlo.
La presidenza del Centro di Ricerca per la Narrativa e il Cinema ha conferito il Premio speciale a Hot Scent (Iran, 2020), Ali Ebrahimi.
Il Premio ANDE è invece andato a Green Sea (Germania, 2019) di Angeliki Antoniou. Il Premio della Giuria studenti è stato assegnato ad ex aequo a My London Lullaby (UK, 2021) di Hugo Santa Cruz e a Garçon Chiffon (Francia, 2021) di Nicolas Maury.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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