PROVVISORIO E DEFINITIVO – Alla ricerca di un cinema assoluto

Sulla pelle e nello sguardo, nei vissuti e nelle visioni, viviamo una continua sfida al tempo. Se questa è l'ossessione, nessun mezzo può raccontarla meglio del cinema. Davanti allo schermo siamo costretti a fare i conti con il tempo, l'assoluto, l'infinito, la morte e l'immortalità, la transitorietà e la provvisorietà.

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the good's house / interno giorno


 

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Sulla schermo scorrono le ultime immagini di "Baci Rubati" di François Truffaut.


 


UOMO MISTERIOSO: "Signorina…prima di vedere lei non ho mai amato nessuno. Detesto il provvisorio. Conosco bene la vita. So che tutti sempre tradiscono tutti, ma tra di noi sarà diverso…io capisco che tutto questo è troppo improvviso perché dica subito di sì e che prima voglia rompere dei vincoli provvisori, che la legano a delle persone provvisorie.


Ma io sono definitivo.


Sono molto felice".


CHRISTINE:  "Ma è completamente matto quello là!".


ANTOINE: "Sì…Sì…certo…".


 


Titoli di coda. Dopo qualche istante di silenzio:


 


THE BAD – Ma non mi sembra molto convinto Antoine…


THE UGLY – Se il tizio fosse davvero definitivo, sarebbe consapevole della sua provvisorietà.


THE GOOD – Ma chi sei? Ghezzi?…Ma che è 'sto definitivo?


THE BAD – Mah…l'amore eterno?


THE UGLY – Figurati…


THE GOOD – Forse nel cinema…


THE BAD e THE UGLY (in coro) –  In che senso?


 

Introduzione


The Good, the Ugly & the Bad


 


E' il cinema l'arte del tempo: nel momento in cui fissa qualcosa, è già passato. Mentre sfida la morte, il reale continua a scorrere. E', la nostra, una generazione di passaggio: ha scavalcato la soglia tra reale e virtuale, tra riproduzione limitata e illimitata di ogni visibile, tra distanze fisiche e mentali imprescindibili e azzeramento di ogni scarto spaziale e temporale.


L'immersione naturale in un flusso continuo di immagini ci ha innestato la sensazione di vivere in un eterno presente. Abbiamo accesso illimitato ad immagini che rendono immortale/replicabile l'essere umano. La tecnologia (videofonini, chat, web cam, videoconferenze, videogiochi…) ci cala in un contesto inalienabile di compresenza – parlare guardando persone non presenti – e contemporaneità. I mass media (tv, home video) ci consentono una visione 'del passato' impensabile solo pochi anni fa.


Abbiamo visto nascere e svilupparsi per progressione esponenziale l'era dell'accesso e le tecnologie del visivo. Viviamo per immagini che continuano a bloccare, immortalare, rendere eterno e continuo l'attimo presente – e contemporaneamente a farlo immediatamente storia.


Agli occhi di Bazin la nascita delle arti plastiche soddisfa 'un bisogno fondamentale della psicologia umana: la difesa contro il tempo. La morte non è che la vittoria del tempo. Fissare artificialmente le apparenze carnali dell'essere vuol dire strapparlo al flusso della durata: ricondurlo alla vita'.


L'immagine, e il cinema con essa, è proprio là – ipostatizzata – sulla soglia tra provvisorio e definitivo, tra incompleto e assoluto. Vive dello scarto tra poli inconciliabili, della ricerca compulsiva di un'assolutezza – definitiva – non raggiungibile, raggiunta e immediatamente di nuovo perduta. Vive dell'ossessione – che è anche nostra – di fermare il tempo attraverso ciò che rimane, ma che è solo fantasma: illusione.


Se scegliamo l'assoluto nel cinema è anche perché il mondo in cui viviamo – il momento storico, il sistema dei media – ci proietta in modo stringente verso il futuro e insieme ci spinge verso la nostalgia del passato, ci illude di vivere un presente eterno e contemporaneamente ci minaccia con quello stesso presente, ci dà in dotazione una memoria potenzialmente sterminata ma castrata all'origine. Da qui la ricerca di un assoluto cui costantemente si tende, per definizione irraggiungibile o non sufficiente una volta raggiunto: di nuovo incompleto, di nuovo provvisorio.


Siamo infettati dal cinema e di cinema è contaminata la nostra memoria; ma questa stessa memoria in realtà non è tanto nostra, quanto del cinema stesso. Nessuno di noi, infatti, può possederla per intero ed è da qui che nascono le declinazioni individuali di un immaginario che solo idealmente è collettivo: l'immaginario soggettivo di ognuno, l'angolazione personale e l'esperienza unica di qualunque visione, l'emergenza di punti di vista diversi. Ecco allora che lo scarto ineliminabile tra provvisorio e definitivo, che la contemporaneità ci ha trapiantato e imposto di indagare, può declinarsi – nella vita e nel cinema – in un gioco di specchi tra la nostalgia del passato e quella del presente, l'ossessione del tempo e la sfida alla morte, il senso di incompletezza e l'inquietudine che spingono verso la ricerca convulsiva dell'infinito e dell'assoluto, la dialettica dell'immagine cinematografica.


'Il cinema è a metà tra teatro e architettura: vive lo scarto tra tensione verso il movimento, urgenza di avere a che fare con la vita – materia prima – e inevitabilità dell'ipostatizzazione, necessità dell'arrestarsi per poter vivere dentro quella stessa vita. Dunque continuamente costruisce forme che nascondono il mutamento continuo'.


(enrico ghezzi al Detour, 10 dicembre 2004)


 


 


 

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