Quartucci, Golestan e De Oliveira, Brocka e Cronenberg a Fuori Orario

La programmazione da domenica 16 a venerdì 21

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CORSO SCENEGGIATURA CINEMA E TV, in presenza o online, NUOVA DATA DAL 27 MARZO
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La programmazione di Fuori Orario da domenica 16 a venerdi 21.

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Domenica 16  Febbraio   2020

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

 

L’AVANGUARDIA CONTINUA:

l’esperienza televisiva di Carlo Quartucci

(2)

a cura di Paolo Luciani

Sono figlio di un fanciullo del terremoto del 1908.

Mio padre, messinese, Antonino Manganaro, attore, capocomico, direttore artistico… è stato estratto dalle macerie che aveva quattro anni. Mia madre, Angela Quartucci, napoletana, canzonettista, o meglio cantante e attrice, è venuta  a Messina a otto anni in quel terremoto con mio nonno Pasquale Quartucci, ebanista, mastro d’ascia assieme ad altri undici lavoratori, carpentieri, fabbri, muratori…”Dodici apostoli venuti da Napoli per ricostruire Massina” soleva dire Pasquale Quartucci, sempre, in tutti gli anni della mia infanzia.

“Terremoto del 1908” disse mio padre nel 1975 a Gibellina ai terremotati del Belice, nelle baracche di lamiera infuocate dal sole d’estate, incazzati e manifestanti, che lo avevano accerchiato minacciosi, lui “l’attore” simile a loro, mentre giravo io un film su “storia di contadini” per la seconda rete televisiva. E loro con rispetto, dopo, l’hanno lasciato recitare la parte della loro “ribellione”. E io filmavo questo padre con in corpo il fanciullo terremotato di quattro anni.

E così sempre con questo padre e i suoi racconti terremotati e le visioni  – mio padre sentiva, “avvistava” ogni piccolo segnale di terremoto molto prima che avvenisse – questo padre che mi accompagna “attore” nei miei lavori: maestro d’ascia nel MobyDick televisivo del 1972; “attore” della compagnia in Pantgruel alla radio (600 ore di registrazione); “suggeritore” nel mio film L’ultimo spettacolo di Nora Helmer in Casa di bambola di Henrik Ibsen; borgataro-attore in Borgatacamion il film, tre puntate in tv alle 20.30; assieme a mia madre “bambinaia” di Casa Helmer e borgatara, dell’attore Don Antonio, e tanti “altri” lavori.

Ho convissuto per molti anni con questo “fanciullo” padre- attore e i suoi traumi di quel terremoto; questa tragedia, questa catastrofe ha in qualche modo attraversato la mia vita artistica. Ha terremotato il mio “viaggio scenico”, dalla Sicilia a Roma, Berlino, Vienna, Parigi, New York, , Sidney…

Al punto che all’Università di Torino, per la mia laurea honoris causa nel 2002, nella mia “lezione magistrale” mi sentivo “figlio” di Empedocle, scoperto a 18 anni e traumatizzato dall’immagine della sua caduta nel cratere, e figlio di un fanciullo “estratto” dalle macerie del terremoto del 1908…

Carlo Quartucci, 2015

“…il nuovo teatro italiano, che rappresenta una vicenda artistica di grande importanza, esemplare, originale, e in qualche modo unica nel panorama internazionale, ha un preciso anno di inizio, il 1959.

In quell’anno a Roma si ha l’esordio di tra grandi della scena italiana: Claudio Remondi con la MOSCHETA di Ruzante, in giugno; Carlo Quartucci con ASPETTANDO GODOT di Beckett, in settembre; Carmelo Bene, attore in CALIGOLA di Camus, con la regia di Alberto Ruggiero, in ottobre.

Il 1959 può a buon diritto essere considerato effettivo anno di inizio del nuovo teatro, anche a livello internazionale, dato che corrisponde all’inizio, ad Opole in Polonia, dell’attività del TeatrLaboratorium di Jerzy Grotowski e a New York dell’attività del LivinTheatre di Julian Beck e Judith Malina; sempre in quell’anno viene pubblicato il primo manifesto teorico dell’altro grande polacco, Tadeusz Kantor, già attivo dal 1955 con il suo Teatro Cricot 2.”

“…Carlo Quartucci, figura centrale della nuova scena italiana – che teatralmente attraversa da protagonista assoluto e collante altrui il primo decennio – si accampò sulle sponde del Tevere a Prima Portare realizzando nel 1965 un memorabile Festival Beckett (come testimoniato da un altro protagonista di quella stagione, Pippo Di Marca). Con questa operazione, fortemente innovativa e coinvolgentem Quartucci completa e chiude una lunga e fortunata ricerca sulla drammaturgia beckettiana, condotta insieme ad un notevole gruppo di attori: oltre a Claudio Remondi, i giovani Leo De Berardinis, Rino Sudano e Cosimo Cinieri. Nel clima aperto e comunitario del festival romano nascono nuove idee, anche a seguito di interessanti incontri, come quello di Quartucci con Giuliano Scabia, poeta, autore drammaturgico e grande animatore teatrale.

…alla Biennale di Venezia del 1965 Scabia e Quartucci presentano il lavoro ZIP…le violente critiche, al limite del linciaggio (da parte  di una vecchia critica che, evidentemente, non vedeva l’ora  di regolare i conti con una avanguardia teatrale ormai sempre più al centro della nuova scena e  dell’interesse di un pubblico e di una critica invece più attenti ai nuovi linguaggi espressi dai tanti gruppi e personalità che si erano moltiplicate in quegli anni) spinsero i due autori ad accettare l’invito di Sipario, rivista ufficiale della drammaturgia italiana;  l’intervento che ne seguì produsse un documento ancora considerato fondamentale per la storia dell’nuovo teatro, che oltre a presentare i loro intenti ed il loro metodo di lavoro conseguente, esplicita con estrema lucidità il senso dell’avanguardia contemporanea. Scabia e Quartucci riconoscono il valore profondo del gesto dada e della rottura rivoluzionaria delle avanguardie storiche, ma considerano che ora l’atteggiamento debba essere diverso e costruttivo, facendo tesoro meravigliosi risultati e del fallimento di quelle grandi esperienze, da intendersi come un prezioso serbatoio da attingere

(daCento storie sul filo della memoria di E. Bargiacci e R. Sacchettini ed. Titivillus)

Carlo Quartucci in diverse occasioni ha utilizzato il mezzo televisivo per portare avanti il suo lavoro di ricerca teatrale; misurandosi, inutile dirlo, con tutte le specificità, le particolarità, le possibilità, anche innovative e tecnologiche, che il mezzo poteva offrire, utilizzandolo al limite del possibile per presentare, ad un pubblico certamente diverso da quello dei suoi spettacoli, la sua idea di teatro. Il suo lungo rapporto con la Rai lo ha portato sia a partecipare a diverse trasposizioni filmate di testi teatrali come  di racconti, secondo una linea di intervento aziendale votata alla qualità e alla promozione di giovani talenti registici, tipica dei primi anni ’60;  ma anche a proporre  rivoluzionarie rivisitazioni di classici (Moby Dick, Don Chisciotte, Robinson Crusoe) come a partecipare in prima persona ad operazioni  di assoluta novità teorica e produttiva; in questo caso  figlie anche della grande spinta di socialità che si sviluppa negli anni ’70 e che la Rai seppe, in alcune importanti occasioni, non solo documentare ma anche stimolare (vedi il progetto de I RACCONTI DELLA TERRA e  BORGATACAMION).

Carlo Quartucci è scomparso il 31 dicembre del 2019  a Roma.

Fuori Orario gli dedica una serie di notti riproponendo molti dei suoi materiali realizzati per la televisione.

nella notte

PASSATO E PRESENTE: RACCONTI DELLA TERRA

Terza puntata: BELICE ALL’AVANGUARDIA

(Italia, 1977, colore durata 92’45”)

Un programma di Carlo Fido, Stefano Munafò, Ivan Palermo, Valter Preci

Regia: Carlo Quartucci; fotografia: Adriano Maestrelli; montaggio: Giancarlo Cersosino,;musiche elaborate da Piero Umiliani; coordinamento Daniela Ghezzi; interventi scenici del laboratorio di camion Enzo Manni, Giannantonio Marcon, Vito Miglietta, Mario Vercellotti;

la troupe: riprese filmate Luigi Romano, riprese audio Cesare Martinez, missaggio Mario Formanti, organizzazione Camillo Civitale

con: gli attori Muzzi Loffredo, Antonino Manganaro, Carla Tatò, Luigi Mezzanotte, RosabiancaScerrino, Alfiero Vincenti

“Racconti della terra affronta il rapporto tra l’agricoltura e l’industria, che ha caratterizzato il “modello di sviluppo” degli ultimi anni e che oggi certamente va corretto. Il ciclo prevedeva, in un primo momento, l’analisi della “questione contadina” di tutto il territorio nazionale, dalla Sicilia alle Alpi, ma per il momento gli autori si sono fermati alla Sicilia, anche perché ha caratteristiche sue proprie rispetto a tutte le altre regioni e in qualche misura anche emblematiche.

Il programma è nato da una stretta collaborazione tra il gruppo redazionale e le varie forze politiche e sindacali, esperti del settore, istituti universitari e specializzati. Niente dibattiti però, niente incontri tra esperti, niente tavole rotonde.

A questo viaggio prendono parte non solo i giornalisti che lo hanno preparato e reso possibile attraverso un lungo la voro di preparazione, ma anche alcuni attori… perché gli attori? Perché il programma si muove sempre su un doppio binario: una realtà attuale vissuta dai protagonisti reali ed alcuni momenti della condizione contadina interpretati dagli attori nelle località prescelte. Spesso l’argomento rende possibile la compresenza e l’intreccio di questi due momenti narrativi”

(dalRadiocorriere  marzo 1977)

BORGATACAMION

(Italia 1978, prima puntata, durata, 64’39”)

regia Carlo Quartucci; soggetto e sceneggiatura C. Quartucci, Roberto Lerici, Carla Tatò; fotografia Guido Lombardi; montaggio Emanuele Foglietti; operatore Alfredo Leonardi; fonico Anna Lajolo; materiali sonori e musicali Sergio Liberovici, Giorgio Gaslini, Vittorio Gelmetti, Fiorenzo Carpi; delegato alla produzione Italo MOscati

con: Carla Tatò, Luigi Mezzanotte, Bruno Alessandro, Alfiero Vincenti, Antonino Manganaro, Angela Quartucci, Giselda Castrini, Emile Jean, Alessandra Barrera, Osiride Pevarello, Sergio Raggi, Giorgio Guidarelli

“Per undici mesi un regista, Carlo Quartucci, attori e tecnici hanno vissuto e lavorato alla borgata Romanina, per realizzare con i suoi abitanti un film. Il titolo è BORGATACAMION.

Quartucci fa teatro da più quindici anni e da sette si sposta su e giù per l’Italia con un camion, un vecchio Esatau dipinto di bianco, comprato da un autodemolitore vicino Torino. Con Carla Tatò e gli altri attori si fermano e fanno spettacolo insieme alla gente, nelle piazze, nei paesi, nelle periferie delle grandi città. I problemi della borgata non sono stati affrontati in termini ‘logici’. Il film non è un documentario né un’inchiesta, anche se nei tanti frammenti che lo compongono si trovano questi aspetti:la denuncia, i documenti, i tanti fatti e le necessità di una borgata romana. Il lavoro di Quartucci è nato da una lunga, paziente opera di ‘profocazione’. Mentre i fatti accadevano intorno agli attori e ai tecnici, BORGATACAMION li ha registrati attraverso un’ottica particolare, quella fantastica del teatro, non della realtà. < Il risultato – dice Quartucci – è una parabola, il film su uno spettacolo, una utopia accaduta realmente >

In primo piano le emozioni, gli umori, le tensioni della gente. Punto di incontro, di aggrregazione per gli abitanti della Romanina è stato un capannone, affittato da Quartucci e dai suoi, diventato centro di raccolta di documenti, di voci, di immagini. E’ li che sono avvenuti dibattiti, azioni teatrali, incontri: tentativi di coinvolgere tutti in un progetto apparentemente assurdo. Dare simbolicamente alla gente ciò che manca: scuole, asili nido, cinema ma anche gioia, risate, dramma, in termini teatrali, mimando la realtà, anticipando con il desiderio le necessità concrete.

Alla fine Quartucci inventato una festa che avrebbe dovuto durare un mese intero: la provocazione è riuscita.

Prima sono venuti in pochi. Infine in tanti. Una sera, era già tardi, la tensione è salita, c’è stata una frattura. Dopo mesi di convivenza qualcosa si era spezzato: le riprese sono state interrotte, le lampade spente…”

(dalRadiocorriere marzo 1978)

“… Carlo Quartucci ha attraversato intensamente gli anni del Nuovo teatro italiano, in una continua interrogazione sul suo significato, sperimentando forme e mettendo in discussione radicale ruoli, luoghi e l’intero apparato teatrale.  Quando poi nel 1971 compra un camion e lo dipinge di bianco ed inizia il suo percorso in giro per l’Italia, inizia un nuovo viaggio. Camion ‘carica’ e ‘scarica’ teatro. Non realizza spettacoli, opere chiuse, compie azioni. E l’azione può consistere nel trasloco di materiali, nel caricare e scaricare oggetti, persone, pezzi di teatro da una piazza all’altra delle periferie urbane o dei paesi di campagna:un barbiere, un attore, un teatro di pupazzi, Casa di bambola…Sul camion dal 1973 c’è anche Carla Tatò. E tantissimi altri artisti, compagni, amici, in giro per l’Italia, nelle città, in un movimento perpetuo…”

(dal ricordo che gli amici hanno diffuso sul suo lavoro di attore e regista     2019)

 Venerdì 21 febbraio

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta 

CORPI E LUOGHI

a cura di Roberto Turigliatto

MATTONE E SPECCHIO                       PRIMA VISIONE TV             

(Brick and Mirror/ Khesht o ayeneh, 1963-1966, versione restaurata del 2016, b/n, 125’, v.o. sott. it.)

Regia e sceneggiatura: Ebrahim Golestan

Con: Zackaria Hashemi, Taji Ahmadi, Jalal Moghadam, Masoud Faghih, Parviz Fannizadeh, Manouchehr Farid, Forough Farrokhzad

A Teheran, nel 1963, all’indomani del colpo di stato. Il tassista Hashem trova nella sua vettura un bambino in fasce, lasciato da una donna velata che aveva trasportato. Trascorrerà la giornata in una ricerca vana della madre.  In una Teheran tentacolare, vera e propria giungla urbana, Golestan mette in scena quasi in presa diretta un clima di incertezza, di paura, di corruzione e di tradimento. Il titolo allude a una poesia di Farid al-Din Attar (“Ciò che i vecchi vedono in un mattone/ i giovani vedono in uno specchio”).  “La forma del soliloquio riflette sia l’ammirazione di Golestan per Orson Welles, sia la tradizione orale e il frequente uso della metafora nella cultura persiana” (EhsanKhoshbakht)

Golestan è stato il cineasta pioniere del cinema iraniano, fondatore della casa di produzione GolestanFim Studio, la cui intera opera viene oggi riscoperta. Film chiave della nouvelle vague iraniana, Mattone e specchio viene oggi considerato un capolavoro incompreso nella sua epoca. Primo film in presa diretta del cinema iraniano, fu girato da una troupe di sole cinque persone nel corso di diversi mesi durante i quali la lavorazione fu interrotta più volte a causa degli eventi politici e delle proteste per l’arresto dell’Ayatollah Khomeini.  La collaboratrice principale di Golestan fu la grande poetessa ForoughFarrokhzad, anche montatrice e occasionalmente attrice nonché regista di La casa è nera, già presentato da Fuori Orario. Di Golestan Fuori Orario presenterà prossimamente anche il cortometraggio Le colline di Marlick (1964)

 

MANILA – NEGLI ARTIGLI DELLA LUCE                

(MANILA – IN THE CLAWS OF LIGHT)

(Maynila – Sa mgakukongliwanag, Filippine 1975, b/n e col, v.o. sott. it., 121’)

Regia: Lino Brocka

Con: Bembol Roco, Hilda Koronel, Lou Salvador Jr., Joonee Gamboa, Tommy Abuel

Fuori Orario presenta nella versione restaurata capolavoro di Lino Brocka del 1968. Brocka è stato il maestro del cinema filippino degli annni ‘70 e ‘80, a cui fanno riferimento sia Lav Diaz sia i giovani registi.  Un giovane pescatore Julio, si trasferisce a Manila per ritrovare il suo primo amore Ligaya. Qui scopre i duri conflitti di classe e la lotta per la sopravvivenza quotidiana della classe operaia e della maggior parte della popolazione. Fra questi anche la sua Ligaya, costretta a prostituirsi. I due giovani, in un crescendo parossistico, tentano un’ultima fuga che termina in tragedia. A questo punto nulla ha più senso, non resta che il delitto, la vendetta. Un circolo vizioso con cui il sistema economico perpetua l’oppressione.

Sabato 22 febbraio   2020

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta

L’ARGENT PROBABLEMENT

a cura di Roberto Turigliatto

GEBO E L’OMBRA                               

(Gebo e a sombra, Portogallo/Francia, 2012, col., dur., 91’03” v. o. sott.it)

Regia: Manoel de Oliveira

Con: Michael Lonsdale, Claudia Cardinale, Leonor Silveira, RicardoTrêpa, Jeanne Moreau, Luís Miguel Cintra, Bastien Guio

Gebo e a sombra è una “storia sulla povertà e sull’onestà”, ispirata a una pièce del 1923 dello scrittore Raul Brandão. “E’ la storia di un uomo che per tutta la vita ha voluto essere onesto, onesto, onesto, e che alla fine non può che terminare la sua vita dicendo: io sono colpevole” (Jean Douchet).

Gebo è un vecchio contabile, scrupoloso e onesto, che sopravvive in modeste condizioni con la moglie e la nuora Sofia. Da tempo non ha notizie del figlio Joao, sparito otto anni prima. La moglie accusa Gebo di disinteressarsi della sorte del figlio, che in realtà ha abbandonato la famiglia e si è dato alla macchia dopo essersi reso responsabile di alcuni furti ai danni della Compagnia Ausiliaria, la principale banca portoghese, presso cui lavora il padre come tesoriere …Una notte, improvvisamente, l’uomo ritorna. La madre è sicura che resterà, mentre il padre non si fa illusioni. Volutamente, o forse no, Gebo non nasconde il grande quantitativo di denaro che tiene in casa e che appartiene alla società per cui lavora….

COSMOPOLIS                           

(Usa, 2012, col, 107’42”)

Regia: David Cronenberg

Con: Robert Pattinson, Samantha Morton, Jay Baruchel, Paul Giamatti

Il miliardario Eric Packer, dopo una disastrosa giornata a Wall Street, decide di attraversare Manhattan a bordo della sua limousineper raggiungere dall’altra parte della città la bottega del suo barbiere di fiducia.   L’auto procede a passo d’uomo, New York è bloccata: la visita del Presidente degli Stati d’America, il funerale di una celebre star del rap e, non ultima, una manifestazione di anarchici ne paralizzano il traffico…L’apocalisse è vicina…

“Un corpo chiuso in una limo stretch. Una di quelle che guida Edith Scob in HolyMotors di Leos Carax, per intenderci. Un ventre asettico protegge un broker dell’altissima finanza. Uno di quelli in grado di calcolare il tempo in base all’oscillazione del valore del denaro. Uno che determina il futuro decidendo di vendere o comprare delle azioni.” (Giona A. Nazzaro)

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