Queimada, di Gillo Pontecorvo

Compendio di storia del colonialismo, piccolo manuale di storia sociale, documentario cognitivo e cinema narrativo non esente da influssi etnografici. Stanotte alle 1.00 su Rai Movie

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Le intenzioni si comprendono dall’incipit e quelle di Pontecorvo sono sufficientemente scoperte, a partire dall’apparizione dell’imbarcazione su cui viaggia sir William Walker, un Marlon Brando biondo che già ricorda, anticipandolo, quello di Ultimo tango a Parigi. Dicevamo delle intenzioni perché sin dall’inizio, didascalicamente, con la scusa di spiegare all’ospite inglese i luoghi dove sta per approdare, il capitano della nave su cui viaggia sir Walker, descrive l’isola di Queimada, immaginario sito delle Antille, nome che significa bruciata e poi, in breve, la sua collocazione geografica, perfino i chilometri quadrati e un “bignami” della sua storia politica e sociale. Isola abitata da bianchi che hanno reso schiavi i neri. Siamo nella metà dell’800 e il colonialismo comincia a soffrire i mali che per fortuna lo porteranno alla fine. Queimada diventa, nelle mani di sir William Walker, un laboratorio di politiche anticolonialiste, per diventare, dopo molti anni, invece, il luogo in cui quelle politiche lasciano spazio ad altre economiche perfino più pervasive delle prime. Non più l’idea di conquista e di civiltà, ma il più prosaico e tangibile profitto. In ragione di una espansività del potere economico, quelle stesse ribellioni, nel passato fomentate per interessi politici, diventeranno l’agorà nel quale si gioca il futuro benessere dell’occidente a scapito delle popolazioni locali. Lo scontro tra imperialisti e istanze di ribellione, si consuma, ancora una volta, nel tradimento e nella conquista del profitto sul sangue dei popoli.

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Siamo, non bisogna dimenticarlo, nel 1969 quando Gillo Pontecorvo gira questo film, con capitali italiani, maestranze e professionisti italiani, con una sola star dell’epoca, Marlon Brando, ancora oggi mito intramontabile. Lo accompagna Renato Salvatori in verità un po’ impacciato nel suo ruolo di politico sprovveduto con il viso annerito da un nerofumo piuttosto ondivago per dare corpo ad un personaggio che porta in sé, come l’essere meticcio, le contraddizioni delle due culture che si combattono. Ma è Marlon Brando a tenere in mano le fila della storia e il suo onnipresente sir Walker è in fondo un doppiogiochista, una specie di agente segreto al soldo del potere. Coltiva i suoi ideali in favore di una sollevazione dei neri nell’isola di Queimada, ma solo perché al soldo dell’impero inglese all’epoca nemico dei portoghesi che dominavano l’isola. Indottrina e punta su José Dolores uno dei tanti neri dell’isola, povero e sottomesso, ma con dentro il fuoco represso della ribellione in favore del suo popolo. Walker raggiungerà i suoi scopi e la rivoluzione guidata dagli inglesi contro i portoghesi avrà buon esito. Queimada, alcuni anni dopo, divenne prezioso terreno per la coltivazione della canna da zucchero e il potere capitalistico incipiente era molto interessato a metterci le mani sopra. Ancora una volta sir Walker è lo strumento per il raggiungimento di questi scopi da parte dei primi capitalisti. Ribaltando i termini, diventa braccio operativo di quel potere economico ancora più spietato di quello politico. Un potere senza volto poiché da più volti composto. Gillo Pontecorvo firma un film dunque quasi didascalico, come didascalico è il suo inizio. Un cinema in cui il favore terzomondista, molto in auge all’epoca, è evidente. Queimada diventa un compendio di storia del colonialismo, un piccolo manuale di storia sociale delle comunità oppresse, un articolato reportage sui traffici politico-economici dell’occidente, diventa documentario cognitivo per occidentali ancora a digiuno di quelle vicende e si fa cinema narrativo non esente da influssi etnografici che costituivano, in quegli stessi anni, modalità cinematografica di scoperta e di divulgazione. Ecco perché Queimada deve essere in qualche momento necessariamente didascalico e perfino didattico, quelli sono i suoi scopi e quelli devono diventare i suoi strumenti.

Il film del regista toscano diventa così un lungo affresco, didattico, di una storia del colonialismo ancora più lunga e tormentata, nel quale il personaggio di Brando diventa l’antesignano di un trafficante di idee guidato soltanto da un calcolo spietato e che guarda esclusivamente al proprio tornaconto. D’altra parte lui lo sottolinea più volte durante il film e comprende bene che il suo ruolo in quelle vicende è del tutto marginale e prova a conservare un barlume di dignità e di amor proprio, ma senza potere evitare la sua drammatica scomparsa.

Pontecorvo non rinuncia alle sue idee e il film, pur nella bellezza dei luoghi – girato interamente a Cartagena in Colombia – non rinuncia a quella già detta sua natura divulgativa, sia dell’anticolonialismo come forma di lotta politica in cui l’oppresso e l’oppressore sono in chiara luce e non possono essere confusi, sia ad una ulteriore e conseguente divulgazione delle ideologie marxiste filtrate da quelle lotte che nell’America latina di quegli anni e di quelli immediatamente precedenti, erano diventate vere e proprie guerre civili. Ma Queimada diventa anche riflesso incidentale di una etnografia cinematografica benevola verso ogni cultura esotica e in verità, affaticando un po’ lo scorrere degli eventi, il film è incline a mostrare danze e canti degli indigeni al fine di rafforzare quella idea originaria di cultura autoctona da preservare, volendo conferire dignità e spessore a quelle popolazioni come portatrici di una tradizione riconoscibile e paritariamente degna di attenzione. Un cinema oggi scomparso, forse ingenuo, anzi sicuramente, ma schietto e sincero pur con i suoi difetti e le sue cadute di stile. In epoca di #metoo un discorso come quello pronunciato da sir William Walker ad un tavolo di soldati, peraltro anche un po’ buttato lì a caso (bisogna dire che Pontecorvo un po’ se le andava cercando), avrebbe permesso ad un novello Jacques Rivette e ad un redivivo Serge Daney di scrivere un nuovo saggio sulla scorrettezza etica della sequenza.

 

Regia: Gillo Pontecorvo
Interpreti: Marlon Brando, Renato Salvatori, Evaristo Marquez, Dana Ghia
Durata: 129’
Origine: Italia, 1969
Genere: Drammatico

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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