#RomaFF10 – Distancias cortas, Alejandro Guzmán

L’isolamento è l’incipit di questo sorprendente esordio alla regia, ma l’unione spontanea di tre diverse solitudini è il cuore pulsante della narrazione. In selezione ufficiale

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In Messico si dice che se abbracci un grande albero, maggiore è la distanza che separa le mani, più lunga è la vita che ti aspetta, perché i bambini hanno le braccia più corte degli adulti. Ma se Fede dovesse abbracciare un albero, probabilmente la distanza tra le sue mani sarebbe infinita, anche se la vita che gli resta da vivere non è poi così lunga. Sepolto in una casa che cade a pezzi, Fede si trascina dal letto al tavolo con estrema fatica, mosso soltanto dal desiderio di mangiare, ancora e ancora, per riempire il vuoto che gli scava nell’anima. L’obesità cronica appesantisce ogni movimento, rendendo anche il gesto più piccolo immensamente grande, e una passeggiata quasi una condanna a morte. Il grasso pesa sulla pelle come un macigno, la segna indelebilmente, ma ciò nonostante Fede non riesce a perdere peso, a tornare a un vita normale, perché nonostante tutto il suo corpo informe è il suo schermo verso l’esterno, che lo allontana dalle persone e lo tiene al sicuro dalla sofferenza.

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L’unica finestra sul mondo che Fede su concede di aprire è la fotografia, un’antica passione che lo spinge a uscire di casa, a camminare per ore fino quasi a rischiare la vita, solo per soffermarsi su soggetti diversi da se stesso. Grazie alla fotografia Fede riscopre il cognato Ramon, che diventa il suo complice silenzioso, e quasi per caso conosce Paulo, un adolescente tormentato, che rimane immediatamente affascinato dalla quest’uomo bizzarro e decide di accompagnarlo nel suo cammino di rinascita, a passi lenti verso il futuro.

Allo stesso modo, lentamente, Alejandro Guzmán entra nella vita di Fede, scrutando i piccoli rituali, e tutti gli ostacoli che l’obesità porta con sé nella routine quotidiana, per orchestrare una piccola tragedia sociale, che inizia dall’interno, tra le mura cadenti della sua casa e della sua anima, per proiettarsi all’esterno. L’isolamento è l’incipit di questo sorprendente esordio alla regia, ma l’unione spontanea di tre diverse solitudini è il cuore pulsante della narrazione, perché è nel loro stare insieme che Fede, Ramon e Paulo trovano lo slancio vitale che avevano dimenticato, i fremiti adolescenziali del rischio e le emozioni travolgenti che porta con sé. In questi preziosi istanti di libertà Guzmán racchiude il senso della vita, reagendo all’autocommiserazione con l’azione, al pregiudizio con il lento svelamento di una realtà indigesta, a volte difficile da immaginare, ma costellata di piccoli momenti di gioia come quella di ognuno.

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