SAN SEBASTIAN 54 – "Il cinema è simulazione, ma io cerco sempre un momento di verità". Incontro con Carlos Sorin

In concorso al festival basco con "El camino de San Diego", il regista argentino ci parla del film che con cui conclude la trilogia iniziata con "Piccole storie" e "Bombon el perro". La storia di un viaggio iniziatico diretto a una fede chiamata Maradona

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SAN SEBASTIAN – Dopo Piccole Storie (2002) e Bombon el Perro (2004), Carlos Sorin ha presentato al 54mo Festival di San Sebastian El Camino de San Diego, abbandonando gli scenari della Patagonia, ma non il suo cinema al limite con il documentario. Sorin sceglie come ambientazione Missiones, povera regione nel nord dell'Argentina, per raccontare la storia di Tati Benitez (interpretato da Ignacio Benitez, attore rigorosamente non professionista, come la maggior parte del cast) e del suo sogno: incontrare Diego Armando Maradona, l'idolo che riempie la sua esistenza. Sorin continua a sperimentare la formula già utilizzata in Piccole Storie e Bombon el Perro, avvalendosi di un microcosmo fatto di emozioni e gesti semplici, totalmente avulso da ogni forma di intellettualismo ed in cui, attraverso la finzione della storia, viene fuori la realtà dei personaggi. La strada è ancora una volta il filo che attraversa tutta la pellicola, diventando il luogo che mette in connessione volti e storie in una fitta struttura polifonica, fatta di incontri e di perdite.

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Cosa rappresenta El Camino de San Diego?


Questo film è un viaggio iniziatico, che Tati intraprende per conoscere Maradona, per potergli stare vicino in un momento difficile con la speranza, propria di molta gente, quella che una volta incontrato il proprio idolo la vita cambi per il meglio. Per spiegare questo sentimento, vi voglio raccontare una mia esperienza: dopo aver presentato il mio primo film a Venezia (La pelicula del Rey, Leone d'Oro alla Mostra dell'86, n.d.r.) fui invitato a Cinecittà dove conobbi Federico Fellini, il quale mi invitó sul set de L'intervista. Ebbene l'emozione che ebbi stando accanto al Maestro potrebbe essere simile a quella che Tati avrebbe provato trovandosi al cospetto di Diego: sono momenti quasi religiosi!

Perchè ha scelto di ambientare la storia nel nord dell'Argentina?


Questa storia aveva a che fare più`con la foresta, con le persone che abitano al confine tra Brasile, Paraguay e Argentina. E' l'ambientazione giusta per una storia sulla fede, sulla mistica e sull'esoterismo. In questo film uso il simbolo incarnato da Maradona per riflettere sulla fede e sul destino. La domanda che pongo è se viviamo in un mondo dominato dal caso o dove tutto è già scritto.


Il film è costruito anche sulla storia dei tanti personaggi che circondano Tati, come nascono queste figure?


Questo è un film on the road dove si incontrano tante storie e la storia di ogni personaggio della pellicola avrebbe potuto essere un altro film. La presenza di diversi personaggi è un modo per alternare, come nella vita, momenti ironici ad altri drammatici. Questi personaggi e le loro storie spesso sono reali. Ad esempio la ragazza che si prostituisce per mantere il figlio che vive lontano da lei nella vita reale fa esattamente la stessa cosa.



Perchè sceglie di affidarsi ad attori non professionisti?


Quello che spero di ottenere da questi non attori è un momento di verità, un qualcosa che non è precedentemente studiato. Pur sapendo che ogni film è un atto di simulazione, io cerco sempre quel momento di verità, sia esso uno sguardo, un gesto o una parola. Penso che una scena sincera possa maggiormente coinvolgere lo spettatore rispetto ad una scena recitata.


La speranza sembra essere un elemento importante in questo film.


Io sono fondamentalmente un pessimista, ma ritengo che le persone per vivere abbiano bisogno di lasciare aperta una possibilità di fuga. La speranza, anche quando diventa la proiezione di qualcosa impossibile da realizzare, è una forma di sopravvivenza secondo me indispensabile all'essere umano. E' per questo che il finale di El Camino de San Diego è un finale aperto: ho voluto lasciare spazio alla speranza, ma anche alla sua negazione.


 

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