SAN SEBASTIAN 55 – Incontro con Wayne Wang

wayne wang“Il titolo del film vuole dire che le persone hanno bisogno di molto tempo, 1000 anni di preghiere, prima di poter veramente affrontare la realtà. Bisogna imparare a guardare il tempo come un continuum, le cose rivelano il loro vero significato nel tempo, magari attraverso il tempo di diverse esistenze.” Wayne Wang parla di A Thousand Year of Good Prayers

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wayne wangCome è nato il progetto di A Thousand Years of Good Prayers?

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L’anno scorso, nello stesso giorno, due persone che stimo moltissimo, una scrive per una rivista e l’altra è quella che mi ha permesso di entrare nel mondo del cinema e di diventare un regista finanziando il mio primo film, mi hanno detto: “C’è una giovane scrittrice cinese molto brava che devi assolutamente leggere! Il suo nome è Yiyun Li.” Così ho letto un suo libro, una raccolta di racconti intitolata A Thousand Years of Good Prayers. Avrei potuto realizzare almeno due o tre film dai racconti di Yiyun Li. Ho girato A Thousand Year of Good Prayers perché mi ha ricordato quando per la prima volta sono arrivato negli Stati Uniti, mio padre voleva che diventassi un medico e quindi ho studiato medicina per circa due anni, ma poi ho iniziato ad interessarmi di pittura e di cinema. Così ho chiamato mio padre e gli ho detto che sarei diventato un artista e non un medico. Lui si preoccupò moltissimo e venne a stare da me, proprio come accade in questo film. E una sera a cena mi disse: “Non hai molti soldi sul tuo conto in banca.” Ho capito allora che curiosava tra le mie cose e controllava il mio conto in banca. Il racconto di Yiyun Li mi ha fatto ricordare il rapporto che avevo con mio padre. E’ la storia di un padre che va a trovare sua figlia dopo molto tempo che non si vedono, una figlia che si è divorziata e nella cultura cinese il divorzio è come una malattia e bisogna aiutare la persona che ha divorziato a guarire dalla sua malattia.

 

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Il linguaggio ha un ruolo molto importante…

Il linguaggio ha un ruolo molto importante in questo film innanzitutto perché il Cinese, sia la lingua parlata che il linguaggio non verbale, è un linguaggio molto formale. In Cina l’espressione della propria interiorità è qualcosa di molto controllato, specialmente dove si parla il Mandarino. Non è come la cultura latina dove c’è molta passione, dove c’è l’abitudine di parlare dei propri sentimenti. Con la lingua cinese invece è difficile riuscire ad esprimere il proprio mondo interiore e le proprie insicurezze. Nella cultura cinese non viene condiviso ed espresso tutto ciò che è sentito e vissuto profondamente. In A Thousand Years of Good Prayers ho cercato di mostrare questo aspetto. Yilan, la figlia, lascia il suo ambiente, la sua cultura ed arriva negli Stati Uniti e qui impara un nuovo linguaggio, non solo la lingua inglese, ma anche un nuovo modo per esprimersi. Ma allo stesso tempo non riesce a cancellare la sua cultura d’appartenenza ed il suo passato e quindi non è libera di essere una persona nuova. Tutto ciò mi colpisce profondamente, anch’io, nonostante sia ormai americano a tutti gli effetti, nonostante la mia lingua sia ormai l’inglese, nonostante i miei tentativi di mostrare e condividere con gli altri la mia passione ed i miei sentimenti, sono ancora intrappolato e frenato dalla mia cultura d’origine, dal linguaggio con il quale sono cresciuto.

 

In A Thousand Years of Good Prayers la cultura americana, pur nella libertà espressiva che offre, è vista nelle sue contraddizioni. Penso ad Yilan, la figlia, che andando negli Stati Uniti ha cercato una forma di liberazione trovando però una profonda solitudine. O anche al personaggio di Madame, la donna iraniana che crede nella bontà americana, ma viene lasciata dal figlio in un centro per anziani, quando la nuora decide che non c’è più spazio per lei nella loro famiglia.

Il volto che l’America è solita mostrare è quello di una società molto libera, dove tutti tentano di apparire felici ed aperti verso il prossimo. Ma credo che guardando più attentamente, oltre le apparenze, si possano intravedere tutti i problemi e tutte le contraddizioni di questo paese. Madame, la donna iraniana con la quale Shi,il padre di Yilan, s’incontra nel parco, continua a ripetere, in un inglese stentato, che l’America è un paese buono, un paese che ha permesso al figlio di diventare medico, di avere una macchina lussuosa ed una bella casa. Ma quando suo figlio diventa padre, la nuora americana la allontana, mettendola in un centro per anziani, perché non vuole che Madame si prenda cura ed allevi il loro bambino. Questo accade molto spesso in America. Ci sono alcuni personaggi secondari nel mio film che non provengono da altre culture, sono totalmente americani, e sono tutti interessanti nel loro diverso modo di essere. Io li ho descritti, senza volerli giudicarli, per mostrare il volto dell’America. Ad esempio la ragazza della piscina, che è un personaggio reale che ho incontrato mentre lavoravo al film, studia per diventare medico legale e la professione del medico legale è diventata molto popolare in America per colpa della televisione. Questa giovane donna non riesce a trovare lavoro perché nella città dove ho girato A Thousand Years of Good Prayers non ci sono abbastanza delitti ed abbastanza cadaveri. Questo è molto tipico della cultura americana. Trovo molto interessanti anche i personaggi dei due mormoni, credono così profondamente nella loro religione, arrivano e dichiarano che il loro credo è la verità più importante al mondo. C’è una sorta di innocenza e allo stesso tempo di ottusità su quella che viene ritenuta essere la verità. E questo mi spaventa molto. Anche questo è un aspetto proprio della cultura americana. La religione che professano i due mormoni è qualcosa in cui credere senza pensare, una verità assoluta che non ammette possibilità di critica, come il regime in cui è cresciuto Shi, che parlando con i due mormoni dice che il modo in cui professano il loro credo assomiglia molto a quello del regime comunista in Cina. Trovo questa situazione molto divertente. Penso che nella cultura americana ci sia una tendenza a credere in una verità assoluta, senza riuscire a cogliere la complessità della situazione. Per esempio il nostro presidente e la sua politica… quale miglior esempio? Niente è visto nella sua complessità, tutto è nero o bianco. Tutto è affrontato nella sua immediatezza, il tempo non è pensato come un continuum. Il titolo del film, A Thousand Years of Good Prayers, vuole dire che le persone hanno bisogno di molto tempo, 1000 anni di preghiere, prima di poter veramente affrontare la realtà. Bisogna imparare a guardare il tempo come un continuum, le cose rivelano il loro vero significato nel tempo, magari attraverso il tempo di diverse esistenze. Questa è una concezione che gli americani non hanno.

 

Perché i luoghi rappresentati, quelli dove si muove il padre di Yilan, sono così impersonali?

Gli ambienti dove si muove Shi, il personaggio che determina lo spazio rappresentato, sono costituiti principalmente dai luoghi in cui abita sua figlia. Si tratta di uno spazio artificiale, dove non c’è vita. Ad esempio il letto di Yilan non è un posto intimo da condividere con un’altra persona, ma è un luogo disordinato e senza calore, tutto occupato da libri, riviste e vestiti. L’appartamento in cui vive Yilan, anche se è all’interno di un grande complesso, è un posto impersonale, dove tutto si assomiglia, dove nessuno si conosce davvero. E’ un posto in cui non c’è comunicazione e non c’è vita comunitaria. Trovo molto interessante questo spazio perché riflette quello creato dalla cultura americana, dove la vita privata è condotta in un ambiente molto uniforme. Quindi Shi arriva a casa di sua figlia e cerca di dare un carattere a questo luogo, cerca di imprimere nello spazio la sua cultura, anche se solo attraverso gesti quasi impercettibili, come mettere un giornale sulla parete sopra al piano cottura per proteggerla dagli schizzi di olio e dai cibi cucinati. Anche la città dove è ambientato il film, Spokane, è ritratta come un luogo senza un vero volto. Ho cercato di rappresentare quell’America senza identità, dove tutte le piccole città di assomigliano e sono luoghi artificiali.

 

La scena in cui Shi e Yilan siedono a tavola insieme e cenano si ripete più volte nel film, sottolineando sempre più marcatamente la distanza che separa padre e figlia…

Nella cultura in cui sono cresciuto, il cibo ricopre un ruolo molto importante. Tutto accade durante i pasti consumati in famiglia e allo stesso tempo nulla cambia. I pasti che ogni giorno consumavo con la mia famiglia erano i momenti più terrificanti della giornata perché mi sedevo sapendo che non era possibile parlare davvero. Dovevo ascoltare mio padre e mangiare in silenzio, non sapevo cosa sarebbe accaduto. Mio padre mi rimproverava sempre per qualcosa di sbagliato che avevo fatto. I pasti consumati in famiglia sono un possibile momento per confrontarsi, ma allo stesso tempo sono qualcosa di molto difficile da affrontare. Nel film ho cercato di mostrare come Shi tentasse quasi di imboccare la figlia. Durante la cena continua a metterle cibo nel piatto e continua anche a farle domande sulla sua vita, ma più insiste con le sue domande e meno Yilan risponde. Ricordo che mio padre si comportava allo stesso modo quando veniva a trovarmi, mi faceva tantissime domande personali alle quali io rispondevo sempre meno o mi inventavo bugie. Ho tentato di mostrare la tavola come un rito che è al centro delle relazioni familiari e allo stesso tempo qualcosa di molto freddo e difficile da affrontare.

 

a thousand years of good prayersNella scena in cui Shi si apre alla figlia, raccontandole il suo passato e il suo dolore, la separazione tra i loro corpi giunge alla sua massima espressione…

E’ un momento molto intenso quello in cui Shi si confessa con la figlia. La separazione tra i due è diventata talmente marcata che a questo punto tra loro non c’è più neanche la possibilità di sedere vicino ed avere quella che in America viene chiama una conversazione cuore a cuore. Ho voluto esprimere questa lontananza attraverso lo spazio, che è nettamente separato da una parete che divide le due stanze dove sono Shi e Yilan. E’ talmente grande questa distanza che Yilan esce addirittura dal quadro. Yilan non riesce più a credere alle parole del padre e per lei è ormai superfluo sapere quale è la verità. A questo punto del film padre e figlia sono talmente distanti che per loro ormai è impossibile stabilire una qualsiasi vicinanza o condivisione. Yilan e Shi non desiderano veramente avere un’intimità. L’unico momento in cui esiste una parvenza di vicinanza è alla fine del film, nel parco, quando Yilan organizza la partenza del padre. Alla fine della scena Shi e Yilan si guardano e in quello sguardo c’è una strana vicinanza che non si può tradurre a parole, né si può spiegare esattamente cosa sia. Vedo la famiglia come un qualcosa in cui si cerca di creare intimità e complicità, ma in cui la distanza diventa sempre più grande perché ci sono tanti rancori e cose che è difficile esprimere.

 

C’è un’unica inquadratura in A Thousand Years of Good Prayers, quella in cui Shi parla con la ragazza in piscina, che differisce nettamente dalla geometria e frontalità che caratterizza tutto il film. Perché?

E’ l’unica inquadratura del film in cui la macchina da presa non è parallela allo sguardo del personaggio e forse è… un interessante sbaglio! Ho voluto lasciare questa inquadratura perché mi piaceva molto. Talvolta mi concedo qualche errore! Ho girato un altro film, Princess of Nebraska, che è un film tutto fatto di errori come questo, un film senza regole. Mi piace girare con regole molto rigide, con grande disciplina. Quando torno al materiale cinese guardo sempre ad Ozu come il modello al quale ispirarmi per girare i miei film. Nonostante sia giapponese, credo che riesca attraverso le sue opere, attraverso il linguaggio delle sue immagini, ad esprimere l’essenza di qualcosa di antico e di molto vero. Ma, allo stesso tempo, amo anche girare come se suonassi il jazz.

 

Nel racconto scritto da Yiyun Li l’uomo che frequenta Yilan è romeno, mentre nel film è russo, perché?

E’ stata Yiyun Li, che ha anche firmato la sceneggiatura del film, a far diventare questo personaggio russo. E la ritengo una scelta molto interessante, perché la cultura russa ha molto influenzato la Cina prima e dopo la Rivoluzione Culturale. La Cina è stata molto vicina alla Russia, la cultura popolare e la lingua russa venivano insegnati scuola dai cinesi.

 

C’è una scena in cui Shi rimette a posto le due matrioske di sua figlia…

Le due matrioske sono mischiate e Shi le rimette in ordine. Mette le bambole che raffigurano una donna tutte insieme e quelle che raffigurano un uomo tutte insieme, è un modo per mostrare la logicità del suo comportamento. E’ anche un espediente molto chiaro per mostrare che Yilan verrà a conoscenza del fatto che il padre è entrato nella sua stanza e che gioca con le sue cose. E’ una ragione pratica. E, da un altro punto di vista, è un modo per mostrare l’influenza che la cultura russa ha avuto sulla Cina, specialmente sulla generazione alla quale appartiene Shi. Quando entra nella stanza di Yilan e trova un cd di musica russa e le due mastrioske prova, grazie ad un linguaggio comune che è la cultura russa, una sorta di vicinanza con la figlia. Ma questa vicinanza è solo qualcosa di superficiale, che in nessun modo può colmare la distanza che si è creata tra Shi ed Yilan.

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