“Stanno tutti bene”, di Kirk Jones

 stanno tutti bene
Come attraverso una lente d’ingrandimento, entrare in punta di piedi nella vita di quattro giovani/adulti per (ri)scoprire lo scarto tra ideale e reale è molto più facile se guardiamo con gli occhi del cosiddetto sogno americano. Frank è il padre in pensione di tutti noi. Se solo bastasse rivestire parole e gesti con un invisibile strato di PVC per renderli più stabili, meno esposti alle intemperie

 

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Come attraverso una lente d’ingrandimento, entrare in punta di piedi nella vita di quattro giovani/adulti per (ri)scoprire lo scarto tra ideale e reale è molto più facile se guardiamo con gli occhi del cosiddetto sogno americano. La pellicola di Kirk Jones (Svegliati Ned, Nanny McPhee) procede con programmatica linearità, una semplicità di sguardo che lascia le redini e le regole a Robert De Niro. De Niro è in pensione. Cura il giardino, passa l’aspirapolvere, fa la spesa al supermercato, contratta sui prezzi, cucina e alla fine si stende a riposare. De Niro è in pensione, ma è ancora a lui che dobbiamo ogni fuoriuscita dagli schemi, ogni alzata libera del cuore verso traiettorie non previste. A questo attore capace di mostrare l’enormità dell’animo umano anche dietro le maschere più silenziatrici (come quella di Frankenstein) tocca il ruolo che fu di Marcello Mastroianni nel film di Tornatore del 1990. Frank è il padre in pensione di tutti noi. Misurato nei gesti quasi a non voler disturbare, a tratti esitante a tratti entusiasta nell’attaccare bottone con impiegati allo sportello e casuali compagni di viaggio in treno perché la sua esistenza è permeata di silenzio. Dopo la morte della moglie, Frank è solo nella sua villetta. Ha quattro figli che hanno preso strade sparse per tutto il Paese, e che alla vigilia di una sospirata riunione di famiglia disdicono all’unisono l’invito. Ma Frank decide di raggiungerli uno ad uno dove vivono, ha bisogno di (ri)stabilire un contatto che soppianti quella che, a poco a poco, emerge come una pallida parvenza di relazione padre-figli: è stata sempre sua moglie a raccogliere le confidenze di Rosie, Amy, Robert e David. A lui – come a molti padri – sono state lasciate solo le “buone notizie”. A lui è spettato il compito delle aspettative, quei meccanismi micidiali che spesso – almeno, a sentire i figli – portano con sé imprevedibili danni. Frank ha voluto insegnare ai suoi figli a dare il massimo e ad essere i migliori. Il suo itinerario, percorso con improbabili mezzi low class (il treno, l’autobus) e una piccola valigia di cui ignora il manico allungabile e le rotelle, serve a capire se il sogno si sia realizzato. Ma di stazione in stazione e di finestrino in finestrino, guardando i cavi del telefono sospesi tra i pali e ricoperti dal PVC che lui stesso fabbricava, Frank comprende che la verità è sempre e comunque lontana (nel tempo, nello spazio) e dice qualcosa a se stesso, insieme allo spettatore. Se solo la comunicazione tra esseri umani fosse un po’ meno fragile. Se solo bastasse rivestire parole e gesti con un invisibile strato di PVC per renderli più stabili, meno esposti alle intemperie. Forse è solo un altro film hollywoodiano salva-famiglia in cui i padri vedono i figli ultratrentenni con gli occhi del passato. Ma stanno tutti bene, anche se chi doveva essere in cima alla piramide si trova nello strato più basso della costruzione. Il sogno è quindi, comunque, in pezzi.
 

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Titolo originale: Everybody’s fine
Regia: Kirk Jones
Interpreti: Robert De Niro, Drew Barrymore, Kate Beckinsale, Sam Rockwell
Distribuzione: Medusa
Durata: 98’

 

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