"Swing" di Tony Gatlif

Se c'è idealizzazione, Gatlif riesce a non farla pesare, filmando ancora una volta una pellicola che è così apertamente un atto d'amore verso il suo soggetto che fa passare la voglia di porsi troppe domande

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Il tempo sospeso, lo spazio sospeso. Il tempo tra l'infanzia e l'adolescenza, il tempo delle vacanze, la sospensione per eccellenza. Lo spazio degli zingari, il loro essere "a parte" come principio assoluto. Il filo conduttore dell'ultimo lavoro di Tony Gatlif è tutto in questo isolamento spazio-temporale, governato dall'innocenza. La musica, come tante altre volte (Vengo, Gadjo Dilo) è il centro naturale della storia, il suo piano di appoggio molto più solido dei luoghi e degli oggetti. Ma è soprattutto sulle infinite possibilità creative che  nascono da un distacco da spazio e tempo, e sulle inevitabili limitazioni che vi verranno apposte, che Swing pone l'accento.
Swing è una giovanissima creatura efebica e androgina dalla pelle nocciola, gli occhi enormi e la sessualità indefinibile, che porta un coetaneo francese nel suo mondo e gli fa conoscere le sue regole, la sua storia, la sua libertà e anche l'amore. Amore evanescente e pudico, l'amicizia tra Max e Swing oscilla tra ammirazione reciproca, voglia di giocare, e la serenità di rapporti dove ancora non sono state impresse regole. Attorno ai due bambini, ancora una volta, il mondo delle culture nomadi che Gatlif celebra ed esplora lungo le diverse coordinate europee, ma sempre sottolineandone l'unicità e la coesione ("tzigani, gitani e manouches sono la stessa cosa"). E sempre celebrandone lo stile di vita essenzialmente libero ed il suo esprimersi tramite musica e danza. In questo caso la musica è il jazz e, appunto, lo swing manouche, di cui il film è una celebrazione come il precedente Vengo era un'ode alla musica gitana e flamenca. E come in Gadjo Dilo, lo straniero -il "gadjo"- non ha mai funzione civilizzatrice, ma viene anzi affascinato, assorbito e accolto dalla nuova cultura.

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Se c'è idealizzazione, Gatlif riesce a non farla pesare, filmando ancora una volta una pellicola che è così apertamente un atto d'amore verso il suo soggetto che fa passare la voglia di porsi troppe domande. E se c'è idealismo (la confluenza tra sessi, razze e culture sotto l'egida della musica, nella scena in cui il direttore arabo insegna al coro di francesi bionde a cantare nella sua lingua madre, o nella "sottomissione" dei musicisti uomini all'ensemble femminile), è di una sfumatura genuina e lieve, mai stucchevole e sempre documentaristica, credibile, ottimista, talvolta perfino ironica. Con la padronanza che gli deriva da una conoscenza intima della materia, Gatlif riesce a creare un sapore di realtà insinuandolo senza fretta nella narrazione, e quando il trasporto dello spettatore è stato creato, fa in modo che anche la tragedia e la sofferenza appaiano dolorosamente reali.


 


Titolo originale: Swing
Regia:Tony Gatlif
Sceneggiatura: Tony Gatlif
Fotografia: Claude Garnier
Montaggio: Monique Dartonne
Musica: Mandino Reinhardt, Tchavolo Schmitt, Abdellatif Chaarani, Tony Gatlif
Scenografia: Denis Mercier
Suono: Regis Leroux
Interpreti: Oscar Copp (Max), Lou Rech (Swing), Tchavolo Schmitt (Miraldo), Mandino Reinhardt (Mandino), Abtellatif Chaarani, Fabiène Mai (nonna di Max), Ben Zimet (dottor Liberman), Hélène Mershtein (Puri Dai), Colette Lepage (moglie di Miraldo), Alberto Hoffman (Calo), Marie Génin (madre di Max)
Produzione: Canal +/Centre National de la Cinématographie/Nakkatsu Corporation/Prince Films
Distribuzione: Mikado
Durata: 90'
Origine: Francia/Giappone, 2002


 


 

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