TORINO 20 – Torino anno zero… (ovvero: "il cinema è pesce")

Quello che era il "festival metropolitano" per eccellenza del panorama italiano non sta più nel cuore di Torino ma al Lingotto, che qualcuno ci spiega essere il baricentro di un quartiere più antico e vero, "popolare",ma che in realtà è una specie di funzionalissimo acquario dove il TFF ha finalmente trovato una comoda sistemazione…

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Ventesimo anno, oppure anno zero… Il Torino Film Festival dell'anno palindromo si fa archiviare nel luogo vivo della memoria come l'iniziofine di un'era: terza persona singolare dell'imperfetto di "essere", predicato verbale di ciò che è stato e non è più. Non necessariamente una tragedia, sia chiaro, da modulare in tono melanconico e raccontare con nostalgia… Per quanto la tentazione ci sia… Quando ai piedi della Mole ci si affollava nell'angusto atrio del Cinema Massimo e giravi l'angolo per ritrovarti nel flusso di studenti universitari coi loro caserecci tranci di pizza, invece di stazionare per nove giorni nell'aria condizionata di un bellissimo multiplex (il Pathè, che per fortuna non ha niente a che spartire con un Warner Village…) e girare l'angolo per ritrovarti col muso in una sala giochi per famiglie o in un Autogrill Ciao, con la sensazione di essere fermo in autostrada…

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Ora quello che era il "festival metropolitano" per eccellenza del panorama italiano non sta più nel cuore di Torino ma al Lingotto, che qualcuno ci spiega essere il baricentro di un quartiere più antico e vero, "popolare" per così dire, ma che per quel che abbiamo capito noi nei nove giorni torinesi è una specie di funzionalissimo acquario dove il TFF ha finalmente trovato una comoda sistemazione… Il fatto è che, detta come va detta, abbiamo vissuto per nove giorni in un multiplex (!) contenuto in un centro commerciale (!!), contenuto in una megastruttura nelle cui immediate vicinanze c'è il deserto!!!


Insomma, una scatola cinese dell'aberrazione neometropolitana, quanto di più vicino al concetto di "nowhere" ci sia dato di immaginare nel panorama globalizzante in cui siamo sistemati… Eravamo a Torino, ma avremmo potuto essere a Tokyo come a Sidney… Un "non-luogo" per eccellenza, con buona pace di chi ci dice che i tempi cambiano, che va bene così, che anche Buenos Aires e Rotterdam fanno i loro festival in luoghi del genere, che bisogna adeguarsi e capire… E io posso pure capire, ma fatico un po' di più a adeguarmi, per puro spirito di sopravvivenza… Tanto più se alla sensazione di essere un pesce in un bellissimo acquario e all'asfissia da aria condizionata, devo aggiungere qualche problema di agibilità della struttura, che comunque si potrà superare con qualche accorgimento nella gestione dell'afflusso di spettatori nelle 11 sale.


Alla fine, comunque, va bene così (deve andar bene così!), mi tengo le mie perplessità e mi guardo con affetto le branchie che nel torinese frattempo mi sono cresciute dietro le orecchie, confrontandole infantilmente con quelle di tutti gli amici e colleghi che come me – assieme a me – si aggiravano spaesati e rassegnati nel Lingotto…

Tutto questo – naturalmente – mentre il XX TFF sciorinava le sue oltre 1000 ore di proiezione, ultima festa offerta da Stefano Della Casa prima di lasciare la direzione e dedicarsi ad altro. Cinefilo ad oltranza, critico tra i più quotati del panorama italiano, sanamente antiaccademico e capace di contaminare le molteplici pulsioni cinematografiche d'oggi e di ieri, come ha dimostrato in questi quattro anni di direzione torinese, Steve, come diciamo tra amici, è uno "giusto", uno che ci ha fatto scoprire il piacere di disarticolare un festival, di farlo esplodere estaticamente fuori di sé, portandolo oltre i confini di qualsiasi sistema. Operazione sacrosanta, che pure da un certo punto in poi ha rischiato di scoordinarsi e che ora, una volta persa la mano di Steve, bisognerà far funzionare in maniera differente.


La sensazione avuta quest'anno (ma che riecheggiava ancora dalla scorsa edizione) è stata infatti quella che il TFF si disperdesse in troppi rivoli, sbilanciato verso un amarcord certo antiaccademico ma pur sempre capace di elaborare la tensione del presente verso il passato, piuttosto che verso il futuro… Bisognerà ridare corpo al Concorso, che pure appare sempre ricco di stimoli e curiosità, ma che sembra aver dimenticato che ci sono stati anni in cui a Torino la competizione si apriva su autori in progress come Kitano Takeshi, Tsai Ming-liang, Olivier Assayas. E bisognerà riorganizzare qualche idea, a beneficio del pubblico e in funzione di una scoperta del Cinema che è e che sarà…


Tutto questo detto nella consapevolezza che il TFF è un festival al quale teniamo troppo per lasciarcelo sfuggire dagli occhi.

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