TORINO 2002 – La Hammer e i mostri dell'inferno

Nell'ambito della sezione "Un'altra Europa", il XX Torino Film Festival ha dedicato un omaggio alla mitica casa di produzione inglese

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Nell'ambito di una produzione europea di genere, mai esigua sebbene continuamente poco considerata, il corpus di film prodotti dalla casa inglese Hammer fra il 1955 e il 1978 è quantomeno singolare. Non solo per la qualità e la quantità delle proposte, che abbracciano praticamente l'intero pantheon orrorifico (ma non solo) codificato nei primi cinquant'anni di storia del cinema; ma anche per la capacità di imprimere un marchio di fabbrica attraverso l'ottimizzazione delle risorse a disposizione. Ancora oggi pare assurdo che film fra loro diversi fossero tutti girati nell'antica casa coloniale di Bray (i famosi "Bray Studios"), sita nella campagna inglese, o che attori di grande capacità interpretativa come Peter Cushing e Cristopher Lee si offrissero con estrema umiltà alle schiaccianti logiche seriali messe in piedi di gran carriera dallo Studio dopo i primi consensi manifestati dal pubblico.

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Eppure oggi, quando i confini del fantastique sono ormai stati abbattuti, i film della Hammer restano lì, unici e irripetibili, come simbolo di un'epifania del genere, lontani dall'aura artistica dei capolavori espressionisti tedeschi (così come dalle opere americane di Browning, Whale, Ulmer e Curtiz), e contenti di fare cassetta solleticando i pruriti del pubblico (a memoria del quale restano gli iniziali cartelli censorei con la famigerata "X"). La recitazione affettata, le energiche sonorità e i colori saturi che venivano puntualmente innestati dai professionisti inglesi (Fisher, Guest, Baker, Sharp, Gilling, Sasdy) su canovacci certamente ripetitivi, infatti, conferiscono tuttora un'aura deliziosa a questi indimenticati gioiellini, capaci di trasmettere un'emozione genuina, non corrotti come erano e sono dalle logiche stritolatrici del moderno, onnipresente, effetto speciale.


Come i cinefili più accaniti ben sanno, la Hammer aveva già goduto in Italia di una esaustiva retrospettiva al Bergamo Film Meeting (parliamo di circa dieci anni fa), per cui la prima impressione che si prova dinanzi alla scelta del TFF di riproporre un numero selezionato di queste pellicole lascia perplessi. Ancor più considerando che la scelta sembra essere stata fatta un po' a caso, estrapolando quattro film dal ciclo di Frankenstein (che comprende sette pellicole), ma senza proporre il capostipite La maschera di Frankenstein (1957), ai quali sono stati aggiunti, a mo' di curiosa appendice, La lunga notte dell'orrore (1966), di John Gilling e L'astronave degli esseri perduti (1967), terzo film della serie Quatermass.


Comunque sia, la Hammer è sempre ben accetta, soprattutto da chi a Bergamo non era presente e questi film se li è sempre dovuti vedere in video, magari rimediando registrazioni di terza mano effettuate su emittenti satellitari a tarda notte o duplicazioni di cassette inglesi con il parlato italiano inserito sulle immagini mediante complicate operazioni di audio-dubbing: non va infatti dimenticato che il grosso della produzione Hammer in Italia è ancora inedito in qualsiasi formato casalingo. Così ci si lascia aggredire dalle immagini dei Frankenstein, dirette dal maestro Terence Fisher, lungo un arco di tempo che va dal 1958 de La vendetta di Frankenstein al 1978 dell'ultimo Frakenstein e i mostri dell'Inferno, il quale – è bene sfatare la diceria lungamente diffusa – non è assolutamente inedito in Italia, essendo stato distribuito in videocassetta dalla Azzurra HV. La visione dell'ultimo capitolo è inoltre utile per cancellare un'altra voce di corridoio, quella secondo la quale alla fine il barone Frankenstein muore, attribuzione falsa dal momento che, eliminato il malriuscito mostro di turno, il gelido scienziato decide di "ricominciare daccapo". Un ciclo tutto sommato godibile sebbene di qualità decrescente, ma che riesce a mediare bene i toni aprendosi a inusitati squarci di matericità quasi sensuale (soprattutto nel terzo capitolo, La maledizione di Frankenstein del 1966), e di pessimismo su un'epoca vittoriana già corrotta da quel cinismo e quella diffidenza reciproca che avrebbe poi prosperato nella nostra misera (e misantropica) era. Mancano infatti i cosiddetti "buoni", l'incattivimento è generale e la distruzione finale del mostro non è catartica, tutt'altro: trasmette la sensazione che il problema sia stato relegato nel dimenticatoio senza essere stato affrontato, e così Frankenstein può sempre "ricominciare daccapo", gli è sufficiente cambiare città.


Una nota a parte la meritano invece gli altri due film, in particolare La lunga notte dell'orrore. La visione torinese ha ridato vigore a una pellicola che anticipa il parallelo zombi=proletariato, poi portato ai massimi livelli teorici (ed estetici) da George Romero. Un piccolo capolavoro del genere, quindi, diretto da Gilling con mano sicura e senso della suspence, mescolando arditamente le lande della Cornovaglia ai ritmi e alle sonorità caraibiche delle cerimonie voodoo, segno di quanto la Hammer all'epoca tenesse a traghettare in terra d'Albione le mitologie fantastiche più disparate. Ultimo, ma non per importanza, è il Quatermass di Roy Ward Baker, L'astronave degli esseri perduti, altro misconosciuto classico, fonte di ispirazione anche per John Carpenter (l'Hobb's End de Il seme della follia viene da qui), con una trama ben elaborata sulle origini aliene dei terrestri (frutto di un esperimento di colonizzazione del pianeta da parte dei marziani) e effetti speciali molto naif, ma concessi con generosità alla George Pal e gran senso dello spettacolo.


Proprio l'alta qualità di questi due titoli erroneamente considerati minori ci induce a pensare quanto più giusta sarebbe comunque stata una rassegna di Hammer "laterali", comprendente titoli come La nebbia degli orrori di Michael Carreras o Il mostruoso uomo delle nevi di Val Guest o, ancora, Barbara il mostro di Londra, di Roy Ward Baker. Non c'era che l'imbarazzo della scelta per (ri)scoprire una casa di produzione troppo spesso ricordata esclusivamente per le operazioni di recupero effettuate sulle icone orrorifiche degli anni trenta.

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